Povertà genera ricchezza. Non indigenza, ma prassi comunionale
Fr. Felice Autieri
Il “Monte di pietà” è un’istituzione finanziaria senza scopo di lucro di origine tardo medievale, sorta in Italia nella seconda metà del XV secolo su iniziativa di alcuni frati francescani dell’Osservanza. Lo scopo era di erogare prestiti di limitata entità detti oggi “microcredito”, a condizioni favorevoli rispetto a quelle di mercato, con fini solidaristici e soprattutto senza scopo di lucro. L’erogazione finanziaria avveniva in cambio di un “pegno”: infatti i clienti, a garanzia del prestito, dovevano presentare un pegno che valesse almeno un terzo in più della somma che si voleva fosse concessa. La durata del prestito di solito era di circa un anno: trascorso il periodo, se la somma non era restituita il pegno veniva venduto all’asta. Tra le figure dei frati dell’Osservanza emerse fr. Michele Carcano, fondatore nel 1462, in accordo con fr. Barnaba Manassei da Terni, del Monte di pietà di Perugia. Un’altra figura di spicco dei Monti di Pietà fu fr. Bernardino da Feltre: questi rifiutò la proposta di chiedere un tasso di interesse per i prestiti effettuati dal Monte ed elaborò un progetto basato sull’idea del “fondo di rotazione”. L’obiettivo consisteva nel soddisfare, a costi limitati, la domanda di credito per obiettivi di investimento e di solidarietà. Infatti il capitale iniziale poteva essere utilizzato come presidio e garanzia dei prestiti concessi sul fondo senza doverne intaccare la consistenza, infine furono caratterizzati da un modo di procedere razionale. La formula risultò vincente e così i Monti di Pietà si diffusero curando la territorialità e la risposta alle relative esigenze economiche di sviluppo del territorio. Dopo accesi dibattiti, alla fine furono ammessi tassi oscillanti tra il 5 e il 10% annuo, in quanto considerati una forma di protezione contro le insolvenze, garantendo nel contempo la custodia e la restituzione dei pegni. Parimenti fu consentita la sopravvivenza del Monte ed un auto finanziamento utile per assicurare e ampliare le possibilità di aiuto. Tutte queste iniziative, elargendo i loro prestiti caso per caso in funzione delle effettive necessità, furono i primi finanziatori del credito al consumo, una sorta di banche dei poveri. Questo sviluppo favorì il cambiamento di atteggiamento da parte della Chiesa in materia del denaro in prestito, legittimando i Monti attraverso lo sviluppo normativo, la cui regolamentazione fu delineata con la bolla Inter Multiplices di Leone X, promulgata il 4 maggio 1515 all’interno del – la X sessione del Concilio Lateranense V. Questa evoluzione fu interrotta quasi dovunque in Italia dall’arrivo, nell’estate del 1796, dei francesi che informati del denaro contenuto nei loro forzieri, li spogliarono “per diritto di conquista”. La successiva ricostituzione dei Monti, se rappresenta la testimonianza più eloquente della loro indispensabile funzione di erogatori di prestito al consumo a miti tassi di interesse, non fu più in grado di sopperire alle esigenze di una società avanzata. Quella post napoleonica ebbe infatti bisogno di tutelare i propri risparmi e di finanziare progetti industriali: gradualmente si sciolsero oppure si tra – sformarono in banco dei pegni, favo – rendo la nascita degli istituti di credito dal forte impegno etico e sociale nel XIX secolo. A seguito dell’unità nazionale con legge del 3 agosto 1862 n. 753 i Monti di pietà furono trasformati in Opere pie, modificandone la natura e l’operatività. Di fatto ciò ne causò la definitiva estinzione, tanto che i provvedimenti successivi resero di fatto impossibile la continuazione dell’attività di credito dei Monti. I “Monti frumentari” sono nati alla fine del XV secolo per aiutare i contadini più poveri dando loro il grano e l’orzo per la semina, ed ebbero una notevole diffusione durante i secoli XVI e XVII. Si rivolgevano in particolare a coloro che vivevano in condizioni di sussistenza quando. per bisogno, erano costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato alla semina, oppure erano costretti a rivolgersi agli usurai. Fra i più antichi ci sono il Monte di Foligno, eretto il 6 febbraio 1488 su proposta di Michelangelo Barnabò. La loro funzione fu quella di supportare il ciclo agrario, così per il loro funzionamento i contadini partecipavano con giornate di lavoro gratuito in occasione della se – mina e del raccolto e l’esito era con – servato come semenze da distribuire ai contadini che ne erano privi. Quando nei magazzini vi erano grosse eccedenze, una parte era venduta ed il denaro così ottenuto era utilizzato per la creazione di Monti Pecuniari al fine di prestare agli agricoltori le somme per le spese del raccolto ad un tasso del 5%. Per il prestito di cereali l’interesse era calcolato invece nella tradizione di misurare in sede di prestito, all’epoca della semina il grano “a raso” dell’unità di misura e di restituirlo “a colmo” all’epoca del raccolto. Tanto i Monti Frumentari che quelli Pecuniari operavano, quindi, nelle aree rurali ed in questo erano complementari ai Monti di Pietà. Ma la mancanza di garanzie, comunque impossibili da pretendere viste le pessime condizioni economi – che in cui versavano i beneficiari, ne misero ben presto in difficoltà il funzionamento nei casi non infrequenti di insolvenza nelle stagioni climaticamente sfavorevoli. Dopo il 1863 i nuovi ordinamenti unitari non solo impedirono la formazione di nuovi Monti Frumentari, ma una legge del 10 marzo 1865 li pose in qualità di opere pie sotto la tutela delle Deputazioni Provinciali, abolendo anche l’obbligo per gli amministratori di rendicontare l’operato attraverso la presentazione di bilanci preventivi e la verifica di quelli consuntivi. Questa mancanza di controllo ne decretò la fine e il ruolo fu ricoperto dalle casse rurali e da quelle di risparmio che trovarono una grande diffusione soprattutto per me – rito di quella parte del clero più vicino alle istanze sociali. Con il decreto regio del 9 aprile 1922 n. 932, i superstiti Monti frumentari vennero sottratti alla disciplina legislativa degli istituti di assistenza e di beneficenza ed in breve trasformati in casse comunali di credito agrario, sottoposte alla vigilanza della Banca d’Italia, pur perdurando in taluni casi l’amministrazione da parte della locale congregazione di carità. Molte casse comunali di credito agrario vennero in seguito assorbite dalle sezioni di credito agrario di istituti di credito di diritto pubblico.