Elites e populismo. La democrazia nel mondo della vita, Rubettino, 2019

Flavio Felice

“Il Foglio”, 22 agosto 2019

Elites e populismo. La democrazia nel mondo della vita di Vincenzo Costa (Rubbettino, 2019) sostiene una tesi fondamentale: il populismo è la reazione, malata, a una chiusura delle élite e al blocco della circolazione del senso tra mondo della vita quotidiana e sfera politica. Pertanto, il populismo potrà essere superato solo nella misura in cui si riaprirà la circolazione delle élite, che non è solo mobilità sociale e politica di persone, ma una circolazione attraverso cui esigenze, modi di sentire, desideri e aspirazioni del mondo della vita possono giungere a rappresentarsi nella sfera pubblica e istituzionale. Senza questa circolazione, i senza potere avvertono la democrazia come qualcosa a cui non hanno accesso, la esperiscono come una possibilità che non può essere agita, come qualcosa che non rappresenta un’effettiva possibilità di azione per la loro vita e, dunque, come una democrazia inutile o una democrazia degli altri. In questo senso, secondo Costa, il malfunzionamento e la crisi della democrazia non potranno essere risolti attraverso una sorta di ingegneria istituzionale, dunque introducendo nel nostro paese modelli politici ed elettorali importati da altri paesi e da altri contesti di senso, ma dalla riapertura dello scambio comunicativo tra mondo della vita e sfera istituzionale.

Il populismo viene dunque interpretato come una reazione a questa chiusura oligarchica, che è innanzitutto una chiusura culturale attraverso cui i ceti intellettuali e politici si trincerano dietro una supposta superiorità morale, intellettuale e culturale. Ci troviamo di fronte ad una situazione esplosiva, in cui un’élite priva di capacità di egemonia culturale e strumenti interpretativi capaci di cogliere le dinamiche del mondo della vita ha tuttavia un potere immenso, per cui emerge una enorme crisi di legittimazione che coinvolge non soltanto le élites, ma le stesse strutture istituzionali.

L’autore cerca di indicare quali sono a suo parere le ragioni della crisi della democrazia e perché essa è stata esperita come qualcosa di inutile da parte delle classi popolari. Si è perso di vista il nesso logico fondamentale tra giustizia e democrazia: la democrazia ha senso in quanto rende possibile la giustizia, cioè una concezione universalistica del diritto, inclusiva di tutti. La democrazia ha cioè un potenziale sovversivo, poiché attraverso di essa possono essere modificati distribuzione della ricchezza: può assurgere a classe dirigente un ceto politico che viene dal basso, rompendo la chiusura delle élites.

L’analisi dell’Autore, almeno in parte, quella relativa alla dimensione istituzionale, incontr una particolare elaborazione contemporanea della classica teoria della circolazione delle élite, quella neo istituzionalista americana di Daron Acemoglu e James Robinson. Gli autori americani, distinguendo tra istituzioni estrattive e istituzioni inclusive, rinviano alla “legge ferrea delle oligarchie” di Robert Michels. In tal caso, la rottura della legge ferrea avverrebbe sul piano istituzionale, operando per la realizzazione di istituzioni inclusive che rendano difficile la vita prolungata alle istituzioni estrattive, mediante il circolo virtuoso delle istituzioni inclusive, capaci di rompere il privilegio oligopolistico, minando alla radice i regimi neofeudali, ricorrendo alla “legge ferrea della democrazia competitiva”.

 

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