“I geni invisibili” della democrazia come antidoto contro i suoi “demoni visibili”

Pubblichiamo la recensione di Dario Antiseri al libro di Enzo Di Nuoscio, I geni invisibili della democrazia. La cultura umanistica come presidio di libertà, Mondadori 2022, presentata in occasione della serata di “Lodiliberale” del 12 dicembre, introdotta e coordinata da Lorenzo Maggi

Dario Antiseri

È questa la più recente stazione di un coerente percorso di ricerca scientifica sviluppato da Enzo Di Nuoscio. Vorrei innanzitutto ricordare, tra altre su opere, tre suoi impegnativi lavori di epistemologia: a. Le ragioni degli individui (1996); b. Tucidide come Einstein? (2004); c. Ermeneutica e economia (2014).

Da qui, lo spostarsi dell’attenzione dell’autore sul rapporto tra conoscenza e democrazia: a. l’epistemologia del dialogo (2011); b. Elogio della mente critica (2016); c. e di questi giorni “I geni invisibili della democrazia”.

Queste le domande di fondo che Enzo Di Nuoscio si pone in questo suo prezioso libro che esce quasi simultaneamente presso la PUF, tradotto e introdotto da Philippe Nemo: può una democrazia sopravvivere se i cittadini dispongono di una grande quantità di informazioni, ma non hanno una sufficiente capacità filologica per comprendere il significato di un testo o di una argomentazione? Se dispongono di nuovi modi per esprimere la propria opinione, ma hanno una scarsa autonomia di giudizio? Se sono addestrati a padroneggiare le più avanzate tecnologie, ma sono privi di capacità critica e di determinate risorse morali? Ebbene, Di Nuoscio è chiaro sul fatto che, per non degenerare, la democrazia ha bisogno di una sufficiente scorta di una risorsa tanto preziosa quanto deperibile: lo spirito critico.

La mente critica è individualista, non assoggetta cioè i singoli individui a entità collettive; è fallibilista; è relativista, vale a dire che difende la libertà di coscienza; sceglie l’etica della responsabilità, considera la libertà come la macchina più potente per esplorare l’ignoto; più cerca la verità e più ama la libertà, è solidale, ama i grandi classici; sa comprendere le ragioni degli altri; fa esperienza attraverso l’arte della domanda; è consapevole di essere figlia soprattutto della tradizione europea.

Certo, non possiamo fare a meno, per ovvie e tante ragioni, delle scienze fisico-naturali, ma quel che Enzo Di Nuoscio combatte è la svalutazione che nel nostro sistema formativo ha colpito e continua a colpire le discipline umanistiche quasi fossero “sapere superfluo” o, peggio ancora, linguaggi ornamentali. Quanto con argomentata decisione Di Nuoscio riafferma è che “lo studio della filosofia, della filologia, della linguistica, della storiografia, del diritto, della letteratura antica e moderna, della cultura e delle lingue classiche e moderne, dell’arte, è decisivo per formare menti critiche”. E precisa che lo studio di queste discipline umanistiche “è essenziale per stimolare l’autonomia intellettuale e il senso critico, per formare menti che siano attrezzate per difendersi dal contagio di credenze radicali e di idee infondate, quindi vaccinate contro il dottrinarismo, il dogmatismo e il fanatismo, sempre in bella vista sul mercato delle idee. È un ottimo antidoto contro il dilagante linguaggio sempre più spento e rarefatto, che rischia di minare la capacità di argomentare e di comprendere la realtà del cittadino democratico, chiamato a decidere delle sorti del nostro Paese”.

In questa prospettiva, Di Nuoscio vede le scienze umane e sociali come le sentinelle di quei principi che possiamo considerare “i geni invisibili” della democrazia, senza dei quali crescono le atrocità create dai “demoni visibili” dei suoi nemici.

Insomma: menti aperte quali il più sicuro presidio di una società aperta (“aperta” e non “spalancata”). Menti aperte quali risultati riusciti di un addestramento praticato con molta attenzione e responsabilità nell’arsenale delle discipline umanistiche. Così Di Nuoscio conclude il suo volume: “Coltivando l’atteggiamento critico e favorendo l’autonomia di giudizio, le scienze umane e sociali rendono dunque un servizio decisivo per la sopravvivenza della democrazia”. Un libro profondo, istruttivo e di agile e chiara scrittura, in cui lo storico e il filologo non sono meno scienziati del fisico e del biologo, in cui si offrono chiare ragioni allo storico per non sentirsi meno scienziato di un fisico o al filologo di non sentirsi meno ricercatore del biologo e rammentare all’insegnante di letteratura quanto diceva Noam Chomsky e cioè che si capirà l’uomo più dai grandi romanzi che dalla psicologia scientifica. E da ultimo, un libro da cui sgorgano felici e ragionati insegnamenti ai tanti comunicatori, perché non cedano alla funesta tentazione di essere infallibili e trasformare luoghi e istituzioni di discussione in piazze dove la discussione argomentativa viene rimpiazzata da risse e insulti.

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