Flavio Felice
Con la dodicesima tavola, dedicata al tema della gratuità e intitolate “Gratuità, prezzo in-finito”, il Sergio Lanza Research Group, un dipartimento del Tocqueville-Acton Centro Studi e Ricerche, ha completato la pubblicazione del catalogo e delle tavole relativi alla mostra “Economia Fraterna”, attualmente esposta presso il Sacro Convento di Assisi. Venticinque giorni incentrati sulla promozione del pensiero economico francescano che riteniamo abbia contribuito in maniera sensibile a dare forma al corpus dottrinale che oggi è conosciuto con l’espressione Dottrina sociale della Chiesa. Tanti gli argomenti trattati dalla mostra e dal catalogo esplicativo, dall’impresa al lavoro, dal credito alla contabilità aziendale, dalla sobrietà alla gratuità. Ebbene, al termine di tale lungo ed affascinante percorso, vorremmo dedicare poche parole conclusive sul modo in cui tali fattori economici ed extra-economici sono entrati a pieno titolo nella riflessione della Dottrina sociale della Chiesa, consentendole di dialogare con il mondo contemporaneo, senza pregiudizi, preconcetti e ingiustificabili complessi di inferiorità.
Dalle riflessioni che hanno accompagnato le dodici stupende tavole pittoriche si evince che i processi di mercato, per quanto virtuosi, non andrebbero mai confusi con il dono e, evidentemente, per quanto viziosi, neppure con la rapina; ecco il motivo per cui la categoria del dono non andrebbe assunta come una sorta di quid etico, un bollino etico giustapposto ai processi di mercato, il cui scopo sarebbe quello di addolcirne le inevitabili asperità e livellare le necessarie ingiustizie di cui sarebbero portatori.
Di contro, il dono appare come quella indispensabile dimensione del vivere che rende autenticamente umani i rapporti e, di conseguenze, autenticamente umana l’esistenza. Sappiamo bene che la vita degli uomini non si risolve nel mercato e l’esperienza del dono ci consente di constatare direttamente la parzialità della logica del mercato, ma relegare il mercato tra le relazioni meramente utilitaristiche, oltre ad essere un errore logico e storico, appare sempre più un errore pratico. I processi di mercato esprimono il dispositivo economico, proprio degli uomini liberi, responsabili e consapevoli della limitatezza della loro conoscenza e della contingenza del loro esistere, che consapevolmente cum-petono per ottenere il miglior risultato possibile, in ordine all’allocazione di beni scarsi e disponibili; ciò che non è scarso e non è disponibile evidentemente non entra e non deve entrare nella logica di mercato.
Riteniamo che vada letta in questo contesto l’enfasi posta sull’importanza della giustizia distributiva per l’esistenza della stessa economia di mercato. In forza del suo esercizio, gli uomini possono disporre di fattori extracontrattuali necessari affinché un contratto possa essere stipulato e che ciò avvenga al minor costo e nel modo più sicuro possibile; importante, a tal proposito ricordare quanto affermato da Benedetto XVI in Caritas in veritate: «Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare». E continua: «Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave». È in questa atmosfera concettuale che emerge un’affermazione di grande valore propositivo: «Non si tratta solo di correggere delle disfunzioni mediante l’assistenza. I poveri non sono da considerare un “fardello”, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico». In queste parole sono presenti tutti i temi affrontati da Giovanni Paolo II in Sollicitudo rei socialis e in Centesimus annus. Argomenti che spinsero alcuni commentatori dell’epoca a parlare di barefoot capitalism, un capitalismo a piedi scalzi che ricorda le analisi dell’economista peruviano Hernando De Soto o del teologo e politologo statunitense Michael Novak.
Per questa ragione, il tema dello sviluppo umano si risolve nell’impossibilità del mercato di auto fondarsi. Il mercato, nella tradizione del Magistero sociale della Chiesa, vive e prospera in forza di virtù come l’onestà, la fiducia, la “sympathy”, ma non è in grado di crearle da solo; qualora dovesse favorirle, lo farebbe solo nella misura in cui i soggetti che vi operano scelgono di vivere secondo virtù e, così facendo, per usare un argomento tipicamente smithiano, anche inintenzionalmente, finiscono per lubrificare i meccanismi del processo economico, in quanto processo umano.
Fuori da ogni logica dogmatica: statalista-dirigista o anarco-libertaria che sia, la Dottrina sociale della Chiesa sembra ripeterci che non esiste il “mercato nudo e crudo”. Il mercato è un sistema relazionale, la cui cifra “civile” è rappresentata dalla capacità dei regolatori di individuare con metodo cooperativo (partecipativo-democratico) le procedure che consentano agli operatori la condivisione delle medesime regole. Per il rispetto di tali regole è necessario, sebbene nella logica della Dottrina sociale della Chiesa non sia ancora sufficiente, predisporre per via sussidiaria un sistema di istituzioni nazionali e sovranazionali che ne salvaguardi la certezza e la trasparenza operativa, avendo a cuore l’ampliamento dei margini di libertà integrale, presupposto indispensabile per ogni forma di sviluppo.