Fr. Felice Autieri
L’obiettivo di questi interventi che vogliono approfondire i temi presenti nella mostra, non avevano la presunzione di essere esaustivi su una dimensione che richiede l’impegno degli stati, delle organizzazioni internazionali e di ciascuno di noi. Un dato di fatto che emerge nella storia dei rapporti tra economia, uomo e società negli ultimi mille anni, è il confronto tra due paradigmi che si sono sempre contrapposti. Nel primo caso ci riferiamo all’assunto antropologico dell’homo oeconomicus, e alla meta – fora della mano invisibile del mercato che genera ricchezza e che tutto riequilibra. L’altro che parte dalla centralità dell’homo reciprocans e si appoggia sul principio di reciprocità. Quest’ultimo concetto è la traduzione nella pratica del principio di “fraternità”, oltre che quello dello scambio. In concreto questo vuol dire che se per l’economia classica l’importante è la massimizzazione del bene totale e del Pil, invece per quella civile il fine è la realizzazione del bene comune e della fraternità all’interno della società. Eppure è bene ricordare che la prima formulazione esplicita del termine “fraternità” risale al francescanesimo, è qualcosa di più profondo della solidarietà, concetto con il quale è spesso confusa. Se la solidarietà è una virtù, o meglio un atteggiamento costitutivo della persona che indirizza la propria libertà al bene dell’altro soprattutto di chi è nel bisogno, invece la fraternità è il principio di un’organizzazione sociale che permette agli eguali di essere diversi. Una società fraterna è anche una società di solidarietà, mentre una società di solidarietà non è necessariamente una società fraterna. A questo riguardo Papa Francesco nel messaggio inviato alla prof.ssa Margaret Archer, Presidente della Pontificia accademia delle Scienze Sociali, il 24 maggio 2017 ha dichiarato: La fraternità consente a persone che sono eguali nella loro essenza, dignità, libertà, e nei loro diritti fondamentali, di partecipare diversamente al bene comune secondo la loro capacità, il loro piano di vita, la loro vocazione, il loro lavoro o il loro carisma di servizio. Pertanto il contributo che il francescanesimo ha potuto offrire nel corso 104 105 dei secoli, è stato di indicare un percorso per poter riformare la visione economica e il paradigma economico del “profitto”, conseguito spesso a danno della persona. Ogni epoca ha avuto il suo “capitalismo” con i propri interessi di casta, eppure nei confronti di questa realtà i francescani con i loro uomini di punta come S. Bonaventura, Giovanni Duns Scoto e Giovanni Olivi hanno offerto il loro significativo contributo. L’approccio che ne è conseguito, è stato di offrire una risposta consapevole che tenesse conto dell’interesse di chi investiva, ma anche della dignità della persona. Fr. Luca Pacioli con la partita doppia, i Monti di pietà e frumentari hanno cercato di offrire risposte concrete, infine i francescani secolari impegnati nel secolo hanno dato il loro apporto alla questione sociale di fine Ottocento. Oggi alla luce delle problematiche economiche di questi ultimi dieci anni, alle conseguenze sociali ed economiche causate dalla pandemia, hanno un valore sempre più autorevole oltre che profetico, il potente invito contenuto nell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. All’inizio del secondo capitolo si legge: Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà”, e ancora: “I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Questo umanesimo fraterno chiede di essere declinato e di realizzarsi attraverso un “patto”, per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani, fra uomo e natura, fra il cittadino e le istituzioni, fra profitto e dono. A questo riguardo Papa Francesco nel messaggio per la celebrazione della V giornata mondiale di Preghiera per la cura del creato nel settembre del 2019, ha affermato: È l’ora di riscoprire la nostra vocazione di figli di Dio, di fratelli tra noi, di custodi del creato. Nessuno di fronte alle sfide attuali, ha formule “magiche” o “vincenti” da offrire agli altri, tuttavia è possibile offrire una strada da poter percorrere insieme. Solo l’impegno di tutti e la reale volontà di collaborare per poter uscire da questo difficile momento, potrà permetterci di poter superare le difficoltà di questi anni, Covid-19 compreso.