Dio è bellezza svelata attraverso i segni della natura e della creatura umana. Le cose non «appartengono», ma «sono da usare»: solo Dio è padrone del mondo (San Bonaventura)

Oreste Bazzichi, Paolo Capitanucci

Quando si parla di Francesco d’Assisi, il pensiero corre al Cantico delle Creature o di Frate sole, composto nel biennio conclusivo della sua vita (1225- 1226) che tutti abbiamo studiato come primo documento della letteratura volgare italiana. La Leggenda Perugina o Compilatio Assisiensis, (n. 40, FF 591) e lo Specchio di perfezione (n.100, FF 1799) ci informano che la “lode” del “perdono” fu inserita nel Cantico per ricomporre il violento dissidio in Assisi, tra il vescovo Guido e il podestà Oportulo, e queste stesse fonti, in accordo con la Vita Seconda (n. 213, FF 803), scritta da Tommaso da Celano nel 1246-1247, aggiungono che la strofa “sora nostra morte corporale” è stata aggiunta negli ultimi giorni di vita. La novità, l’eccezionalità del Cantico, al di là dell’indiscutibile valore poetico-letterario, sta proprio nella scelta di fissa – re per iscritto, in lingua “volgare”, un inno di lode al Signore, destinato all’ascolto e alla comprensione di un pubblico laico illetterato. Riassunto in poche parole, il Cantico insegna ad andare a Dio tra – mite le sue creature. Dice cioè di un amore per la realtà, per il mondo, per il suo essere portatore di tracce divine. Come osservando un quadro di Giotto o la Pietà di Michelangelo riusciamo a comprendere qualcosa dell’intelligenza, della genialità dei due artisti, così il sole, la luna, l’acqua, il fuoco sono doni di Dio, che a Lui ci devono con – durre. Dalle creature al Creatore; dal – le “perfezioni” visibili, a quelle invisibili. Poi il pensiero corre a “Madonna Povertà”, di cui ci parla Dante nell’XI canto del Paradiso, e tutti immaginiamo un uomo che rinuncia alle ricchezze del padre, alle glorie del mondo, per una vita all’insegna dell’amore di Dio, della semplicità, della povertà. Ma la povertà esteriore, il semplice saio francescano, è solo l’aspetto più evidente, esteriore, della povertà francescana. Perché Francesco è povero, in senso evangelico. Ecco dunque che la povertà di Francesco è anzitutto una povertà umile e distaccata, che procura “letizia”, come espressa nel celebre “fioretto” sulla “perfetta letizia” (Fioretti, cap. VIII, FF 1836), che si sperimenta quando verso gli altri non vantiamo nessuna pretesa, anche se legittima. Se al termine del cammino di frate Francesco e frate Leone la porta del convento di santa Maria degli Angeli rimarrà chiusa, e sapranno sopportare la fame, il freddo, la stanchezza e l’umiliazione senza perdere la pace interiore, qui sarà stata per loro la perfetta letizia. La gioia francescana non è disgiunta dalla fatica e dalle rinunce. Per Francesco, quindi, ogni cosa è orientata a Dio Altissimo. Egli non si ferma alle cose che vede: in tutto egli contempla il dito di Dio, la sua presenza, e la lode quindi va immediatamente all’autore piuttosto che alla creatura. Il Cantico delle creature in realtà è un Cantico al Creatore. Le creature passano, il Creatore no. Ed è a Lui che tutto si riferisce. San Bonaventura, in sintonia con Francesco, e cantore del pensiero e della sapienza francescana, scriveva che il creato è il primo “libro” che Dio ha aperto davanti ai nostri occhi, perché ammirandone la varietà ordinata fossimo ricondotti ad ascoltare la voce sinfonica del creato, che ci invita all’alterità, ad uscire dalle chiusure autoreferenziali per riscoprirci dono di Dio, fratelli tra noi, connessi con Cri – sto (Breviloquium, part. II, c. 5). Nel – la Legenda maggiore chiarisce inoltre come intendere la bellezza del creato: Per trarre da ogni cosa incitamento ad ama – re Dio, Francesco esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere. (Legenda maior IX, 1; FF 1161). La stessa immagine-invocazione dei ruscelli sgorganti acqua fresca e pura, che era familiare ad entrambi («o chiaro e dolce ruscello che proviene da fonte nascosta»), espressa nel Legno della vita (cap. IV), indica una struttura dinamica, una comunione reciproca, ascendente e discendente come l’Itinerarium mentis in Deo, che attraversa le strofe del Cantico. Questo dinamismo delle immagini trasmette un messaggio cosmico, che procede dal sole, «bello e radiante», alle stelle «clarite e preziose e belle»; dalla «sora nostra madre terra» al cielo «nubilo e sereno e omne tempo», dal «foco bello e iocondo e robustoso e forte che n’allumini la nocte» alla gioia della fraternità universale. Il mondo come fraternità rappresenta sia l’esperienza di san Francesco sia la teologia uscita dalla scuola francescana. Si delinea così la visione del mondo come una grande famiglia dove ogni realtà, ogni singola presenza è un dono donato, cioè scambiato. Dal Cantico delle Creature erompe uno slancio di comunione. Di condivisione e di fraternità che fa di Francesco un profeta del significato e del destino del mondo: di un mondo creato “buono”, ma “custodito” male dall’uomo, che lo ha deturpato e la – cerato. Dalla dimensione profetica di Francesco si colgono i presupposti per riannodare un corretto rapporto con il creato, che è casa comune, patrimonio di tutti, delle generazioni passate come di quelle future. È l’idea più usata da papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’, che immagina metaforicamente il santo d’Assisi con due testi nelle mani. In una espone il libro del Creato nell’altra tiene il libro della Sacra Scrittura, dove «ci propone di riconoscere la natura come splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà»: cioè rivelazione di Dio nel creato e nella storia (n.12). Tramite la fede, evidenziava san Bonaventura, addentrandosi nel libro della S. Scrittura, l’uomo potrà schiudere anche il libro del Creato e leggervi dentro il cuore del Creatore. Sarà una lode incessante, con quella forza crescente che conserva lo stupore, così grande da far dire a san Bonaventura che «colui che per tutte queste meraviglie non loda Dio, è muto» (Itinerarium mentis in Deum, I,15). Perciò il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita umana: ecologia ambientale ed ecologia umana camminano insieme. Oggi, per educare alla sobrietà, all’armonia e al servizio, occorre sviluppare una nuova mentalità, un modo nuovo di considerare il rapporto con l’ambiente, un nuovo stile di vita improntato sul passaggio dalla cupiditas (brama) dell’avere al primato dell’essere, evitando l’inutile e il superfluo; sulla scoperta dell’armonia e bellezza del creato; sull’impegno a lasciarsi coinvolgere, ponendo le risorse dell’ingegno a servizio dell’integrità del cosmo, perché diventi sempre più bello e ordinato. Una società nella quale venga meno il senso di fraternità, che ingloba la pratica della gratuità, del dono, della solidarietà e della condivisione, – come in più occasioni papa Francesco ha insistito – è una società senza prospettive di futuro sostenibile.

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