Il “sentiero stretto” della politica italiana*

Lettera mensile – Maggio 2023

Maurizio Cotta

Man mano che passano i mesi, l’attenzione dell’osservatore dovrebbe concentrarsi più che sulle brutte figure di alcuni ministri o esponenti della maggioranza incapaci di governare la propria bocca (o forse la mente?) e le polemiche che ne sono derivate, sulla capacità del governo di affrontare i problemi principali del paese, ma anche su quella dell’opposizione di criticarlo per le sue insufficienze e, se possibile, incalzarlo con proposte più valide.

Non c’è bisogno di dire che questo governo, come quelli degli anni passati, si trova di fronte a grandi problemi nel campo della sanità, dell’istruzione, del sostegno alle famiglie con figli, della diseguale pressione fiscale, delle basse retribuzioni; e tutti questi problemi, anche perché acuiti dal ritorno dell’inflazione, richiederebbero risorse maggiori. Ma come ben sappiamo, se non vogliamo vivere nel mondo dei sogni, l’assegnazione di nuove risorse si scontra con le strettoie della finanza pubblica, già di per sé vincolanti per il peso del debito nazionale, e ancor più ora per l’aumento dei tassi di interesse che aggravano ulteriormente quel peso. Per non parlare poi della fine del periodo di sospensione post-Covid dei vincoli del Patto europeo di stabilità e crescita.  Far quadrare il cerchio è allora difficile se si vuole continuare a tenere un profilo finanziario responsabile che consenta all’Italia di stare in Europa non come osservato speciale ma come partner positivo delle grandi scelte che incombono per la UE. Per fortuna la leader di questo governo (nonostante una qualche confusione nei ranghi della sua maggioranza) ha sinora deciso di seguire questa strada europea. Bisogna quindi trarne tutte le conseguenze.

Occorre subito dire che la risposta a questi dilemmi non è facile e di questo dovrebbero avere piena coscienza prima di tutto l’esecutivo, ma anche l’opposizione se si vuole presentare come una alternativa seria di governo.  Come diceva un precedente ministro delle finanze (Padoan) che aveva alle sue spalle anche una buona esperienza internazionale, si deve percorrere un “sentiero stretto”; uscire dal sentiero a destra o a sinistra rischia di produrre capitomboli pericolosi.  Il sentiero stretto richiede certamente scelte “quantitative” (quanto e dove spendere), ma proprio perché queste sono piuttosto limitate le scelte “qualitative” diventano ancora più importanti.

Innanzitutto c’è naturalmente da allargare il più possibile il sentiero stretto. Questo vuol dire sostenere la crescita in corso del paese e spingerla ulteriormente perché solo così le risorse necessarie si accrescono. L’andamento relativamente positivo dell’economia nel primo trimestre 2023 e il clima di fiducia delle imprese e delle famiglie (dati Istat) nei primi mesi dell’anno confortano, ma perché non restino effimeri devono essere accompagnati da misure di politica economica e regolatoria tali da consolidarli senza perdersi dietro a piccole promesse elettorali fatte in tutt’altra prospettiva.  Questo porta direttamente all’aspetto qualitativo dell’azione di governo e della spesa pubblica. Come sa ogni “buon padre/madre di famiglia” quando i margini sono limitati diventano prioritarie la allocazione selettiva delle risorse e la qualità della spesa. Su questo piano c’è molto da fare.

In linea di massima, in ragione del deficit infrastrutturale italiano, si dovrebbe privilegiare la spesa per investimenti rispetto a quella corrente e per consumi. Le cose non sono però così semplici e in realtà su entrambi i piani gli aspetti qualitativi contano.  Se pensiamo agli investimenti è facile notare che non tutti gli investimenti sono ugualmente produttivi: la storia italiana è piena di inutili cattedrali nel deserto (generate per esempio in occasione di olimpiadi o simili eventi), o di infrastrutture concepite e progettate qualche decennio prima della loro (parziale) realizzazione e dunque invecchiate prima di nascere (l’autostrada Siracusa-Gela iniziata nel 1983 e tuttora incompleta ?!). La tempistica degli investimenti oltre alla loro selezione è quindi essenziale.

Se poi guardiamo alla spesa corrente, tipicamente per il personale, anche qui sono necessari approfondimenti e qualificazioni. Se si guardano i numeri della pubblica amministrazione italiana (al 5,5% italiano in percentuale sulla popolazione fanno riscontro l’8,3% della Francia e il 6% della Germania) il deficit attuale (che le prospettive future di pensionamenti accresceranno) richiederebbero significativi aumenti numerici. Con le poche risorse disponibili è chiaro che non si potrà fare molto; diventa cruciale allora innalzare il livello qualitativo dei nuovi reclutamenti, dando spazio ai giovani capaci di innovazione, ricompensando chi si assume responsabilità, accrescendo la formazione continua del personale. In questo modo la spesa corrente invece di essere un peso si può trasformare in spesa di investimento che si rifletterà positivamente sulla produttività del paese. 

Tutto questo che può sembrare ovvio non lo è invece se guardiamo a tante storie passate di spesa sia a livello micro che macro.  E allora che cosa ci vuole? …non le soluzioni taumaturgiche alle quali si è rivolta ricorrentemente la politica degli ultimi decenni, come i cambiamenti del sistema elettorale o magari oggi il sistema presidenziale invocato da questo governo sperando di trovare la bacchetta magica. Ci vuole piuttosto quella che potremmo definire una “disciplina intelligente e lungimirante” della classe politica. Questa disciplina che si basa sul riconoscimento dei vincoli posti dal “sentiero stretto” e insieme su una visione del paese, deve partire dalla testa e quindi dal governo.  Spetta ovviamente al capo del governo aver chiara la strada e indicarla con fermezza ai ministri e alla sua maggioranza. Ma per realizzare questa disciplina intelligente occorrono strumenti capaci di tenere sotto controllo i processi decisionali e di esecuzione. L’organizzazione della presidenza del consiglio deve essere ripensata per questa funzione, ma deve essere affiancata sul piano parlamentare da una rivitalizzazione e riorganizzazione dei gruppi parlamentari perché questi possano sentirsi coinvolti attivamente in questa strategia. E, certo, se l’opposizione e le grandi organizzazioni sociali avessero le idee chiare sulla strategia da seguire (per quanto diversa da quella del governo) la dialettica politica potrebbe dare il suo contributo a non cadere fuori dal sentiero stretto.

In attesa di una politica estera europea. Sicuramente difficile ma sempre più indispensabile

La visita di Macron in Cina e le sue dichiarazioni sui rapporti dell’Europa con la Cina e gli Stati Uniti di alcuni giorni fa sono state utili se non altro per capire come non deve essere nella sostanza e nei modi la politica estera europea. E’ apparso a tutti chiaro che il presidente francese conduceva una iniziativa propria e che questa non era condivisa nei suoi contenuti da una buona parte dei paesi dell’Unione.

Ma ripartiamo dal punto essenziale: è necessaria una politica estera europea e che caratteristiche dovrebbe avere?

Sulla necessità credo che non ci sia molto da discutere, basta allineare alcuni fatti sull’ambiente internazionale all’interno del quale si colloca l’Unione Europea, che non dimentichiamolo è una delle tre principali economie del mondo e in quanto tale ha bisogno di non essere solo un soggetto passivo sulla scena internazionale. Passiamo velocemente in rassegna questi fatti.

In primo luogo, con l’aggressione russa all’Ucraina, è diventato del tutto chiaro quello che almeno già dal 2014 (annessione della Crimea e azioni russe nel Donbass) avrebbe dovuto essere compreso, cioè che l’Unione Europea e il suo grande mercato unificato, che ne è una caratteristica fondamentale, si trovano a convivere con una potenza continentale come la Russia con caratteri sempre più autoritari e per la quale la dimensione dell’affermazione di un ritrovato status internazionale sembra passare attraverso il controllo territoriale dei territori circonvicini. L’Unione Europea ha dovuto quindi constatare che nel sistema internazionale e proprio ai suoi confini orientali la dimensione strategico-militare non è stata affatto addomesticata o addirittura soppiantata da quella economica degli scambi commerciali. Questa scoperta è stata particolarmente dolorosa e destabilizzante per uno dei paesi principali dell’UE, la Germania, che della sua potenza economica aveva fatto la base per uno stretto legame commerciale per la Russia (con elementi importanti di dipendenza da alcune risorse di base di quest’ultima). In stretta connessione con questo cambiamento di paradigma l’Unione Europea ha scoperto che una reazione seria all’aggressione russa non poteva prescindere dal ruolo di leadership e dalle risorse degli Stati Uniti. 

In secondo luogo gli sviluppi politici ed economici della Cina di Xi Jinping indicano che sulla scena internazionale è sempre più presente un attore di prima grandezza (e con connotati sempre più autoritari) che intende sviluppare e promuovere un assetto mondiale diverso da quello che dopo la seconda guerra mondiale è stato disegnato e guidato dagli Stati Uniti. E’ quindi in corso una competizione sempre più ruvida con la superpotenza americana. 

Terzo punto, per gli Stati Uniti, sinora potenza mondiale dominante, il rapporto con la Cina, proprio alla luce di questa competizione assume un rilievo vitale. E in questa direzione vanno e sempre più andranno gli interessi fondamentali del paese nordamericano. Quindi, se oggi l’avventata iniziativa di Putin ha portato gli Stati Uniti a rivolgere il suo sguardo verso l’Europa, è probabile che in futuro le cose cambino. L’area del Pacifico verso la quale guardano le due maggiori superpotenze, e che è attraversata dalla questione di Taiwan, è troppo importante per essere trascurata dal governo americano.

Infine, se ce ne fossimo dimenticati, l’esplosione della guerra civile nel Sudan ci ricorda che in Africa i focolai di crisi non sono pochi, così come le interferenze esterne tutt’altro che pacificatrici, e che tutto questo ha importanti riflessi sui movimenti migratori.

Dovrebbe essere dunque abbastanza chiaro che su tutti questi fronti gli interessi politici, economici, ma direi ancora di più esistenziali dei paesi europei, sono sia individualmente che collettivamente in gioco. Su ciascuno dei fronti citati c’è potenzialmente molto da perdere.  Dovrebbe essere altrettanto chiaro che nessun paese europeo è in grado da solo di pesare in maniera significativa sugli andamenti e sbocchi di questi processi. Certo, se le cose non si mettono troppo male, ciascun paese può strappare qualche concessione commerciale, favorire le proprie industrie, darsi un tono di importanza. Ma quando “il gioco si fa duro”, e la crisi ucraina ha mostrato che questo può succedere, le azioni anche dei più importanti tra gli stati europei rivelano rapidamente la loro irrilevanza. Ben ricordiamo, ancora una volta, la visita di Macron in Russia, tenuto a distanza sul “lungo tavolo” del Cremlino, due settimane prima dell’invasione russa. E che cosa potrebbero fare in futuro i singoli paesi di fronte a iniziative meno caute della Cina verso Taiwan?

Se una politica estera europea è dunque necessaria, svilupparla e metterla in atto è certamente più difficile. Non possiamo dimenticare che la politica estera e quella di difesa sono state elementi cruciali per la definizione stessa dell’identità nazionale degli stati europei. E che alcuni di questi, sono stati potenze mondiali. Oggi non più ma la memoria non sparisce del tutto. E’ chiaro quindi che una politica estera europea deve svilupparsi con cautela e non può pretendere di soppiantare d’emblée le politiche estere nazionali. Ma la cautela non deve escludere la determinazione nel muovere passi in avanti, come ha sempre fatto l’Unione Europea, dove è possibile, dove più chiaramente si manifestano le insufficienze delle politiche nazionali. In questi settori si devono con pazienza far emergere gli interessi comuni, elaborare una linea strategica e soprattutto parlare con una voce sola. Ben vengano allora anche i discorsi e i viaggi internazionali di Macron,  o Scholz, … o magari di un politico finlandese, ma per parlare a nome di tutti. L’Europa unita può parlare da pari a pari con Xi e fargli capire che aspiriamo a una coesistenza pacifica con la Cina, regolata dal diritto internazionale e dai principi dell’ONU, ma non siamo invece dei vassalli che vanno nella capitale del Celeste Impero a prestare omaggio al nuovo imperatore. Anche con gli Stati Uniti una solida partnership, basata sui comuni valori democratici e liberali, può prosperare se l’Europa unita è capace di far valere le proprie ragioni con amicizia ma anche con franchezza.

La strada della politica estera europea non è breve né facile, ma non ha alternative serie.

mauriziocotta47@gmail.com

*Gli articoli pubblicati sul sito del Tocqueville-Acton Centro Studi e Ricerche riflettono esclusivamente le opinioni degli autori

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