Flavio Felice
“Avvenire”, 15 aprile 2023
Tra il 1973 e il 1979, il premio Nobel per l’economia Friedrich August von Hayek pubblica una delle opere che maggiormente influenzeranno la teoria politica del XX secolo: Law, Legislation and Liberty; tre libri raccolti e pubblicati in un unico volume nel 1982. La prima edizione italiana vide la luce nel 1986, edita da il Saggiatore, curata da Angelo Maria Petroni e Stefano Monti Bragadin. A distanza di più di trent’anni, l’opera è riproposta al lettore italiano in una nuova edizione curata da Lorenzo Infantino e Pier Giuseppe Monateri.
La novità fondamentale di questa edizione risiede nel titolo stesso: Legge, legislazione e libertà è diventato Diritto, legislazione e libertà, rispondendo all’esigenza di rendere fedelmente il senso del termine “law”, irriducibile alla nozione di legge. Su questo tema, Monateri si è speso ampiamente nella dotta postfazione, in cui spiega come, oltre allo Stato e alle sue “pretese legislative”, esista un diritto capace di far emergere l’ordine dal caos. Il che non avverrebbe in forza di una delibera sovrana, bensì come evoluzione spontanea, di fronte alla quale l’ambito del politico non può rivendicare alcun primato e lo Stato, inserito in tale sistema plurarchico, è una delle tante organizzazioni che vivono nel diritto.
Le ragioni che spinsero Hayek a ritornare su questo tema, dopo aver pubblicato nel 1960 The Constitution of Liberty, sono esposte dallo stesso Hayek e sintetizzate nei seguenti tre punti. In primo luogo, Hayek collega il suo lavoro all’idea che un ordine sociale spontaneo e la struttura ordinata di una organizzazione non sono la stessa cosa; in secondo luogo, ciò che oggi viene identificato con “giustizia sociale”, un sistema redistributivo del reddito nazionale, è privo di senso rispetto alla “grande società”, in quanto “ordine autogenerantesi”; infine, scrive Hayek, «il modello predominante di istituzioni democratiche liberali, in cui è lo stesso corpo legislativo a porre le regole di giusta condotta e le direttive per l’attività di governo, conduce necessariamente a un sistema asservito a qualche coalizione rappresentativa di interessi organizzati». Andrebbe precisato che Hayek non considera tale esito una conseguenza ineludibile del principio democratico, ma l’effetto di una particolare forma di governo democratico.
Hayek evidenzia un problema che sta al cuore della teoria liberale e della critica liberale all’esperimento democratico, di fronte ai rischi che le democrazie si convertano nella dittatura di minoranze ben organizzate, portatrici di interessi particolari spacciati per il bene comune: «Fino al XVII secolo, si è ritenuto dubbio che il parlamento potesse emanare leggi in contrasto con il common law». Si tratta della ricerca del migliore ordine politico, avendo a cuore la libertà delle singole persone; Hayek definisce tale ideale “demarchia” (demos-archè), non il comando supremo (krátos) di un’assemblea, ma il governare (archein) secondo le regole. È il problema che sottende la nozione stessa di sovranità, in quanto intercetta un’autorità suprema, refrattaria a qualsiasi limite. Non importa chi sia il sovrano, anche un’assemblea legislativa, qualora fosse illimitata (sovrana), sarebbe portata ad estendere, senza alcun limite, il proprio potere. Una tale situazione, afferma Hayek, si fronteggia solo dividendo il potere supremo in due assemblee, entrambe democraticamente elette, e differenti per composizione e durata: un’assemblea legislativa che esprima l’opinione su quali azioni governative siano giuste e quali no mediante “norme di mera condotta”: i nomothetae, e un’assemblea governativa che si esprima su misure particolari: la “legislazione”, da adottare in conformità con le norme di condotta generale che emergono dai nomoteti.
Al di là della proposta concreta, vale la pena sottolineare il principio generale che interessa Hayek: la limitazione del potere e la negazione di qualsiasi autorità sovrana, un principio che pone l’economista austriaco in sintonia con una delle ultime battaglie politiche combattute da Luigi Sturzo: la commistione tra interesse e disciplina di partito e funzione legislativa; non è un caso che, intervenendo al Senato l’11 luglio 1958, Sturzo propone di eliminare la formazione dei gruppi parlamentari, per restituire all’assemblea legislativa la sua indipendenza dall’ingerenza dei partiti, definita dal sacerdote siciliano una “sovrastruttura partitocratica”, simile ad una “piovra che poco a poco soffoca e stronca”.
Friedrich August von Hayek, Diritto, legislazione e libertà, Società Aperta, 2022, pp. 702