La resistenza sottovalutata: rosa e liberale

“Avvenire”, 16 febbraio 2019

Flavio Felice

La pubblicazione del volume di Rossella Pace Una vita tranquilla. La Resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino, 2018), riprende il filo degli studi di Ercole Camurani, secondo il quale era pressoché impossibile che le donne del Partito Liberale non avessero svolto nessun ruolo attivo nella lotta di Liberazione nazionale. Si tratta di una prospettiva storiografica che pone al centro la scelta di quelle donne che decisero di combattere contro tedeschi e fascisti, pur senza ricorrere alle armi, partecipando a quella che il politologo francese Jacques Sémelin definisce “resistenza civile”.

Il lavoro di Pace mette in luce una importante testimonianza costituita dal diario di Cristina Casana, un’aristocratica piemontese di famiglia liberale, impegnata nel coordinamento della lotta di liberazione in Italia settentrionale a sostegno del fratello Rinaldo e della brigata “Franchi”. Il documento è stato ritrovato e pubblicato con un’ampia ricostruzione del contesto storico dalla Pace che nella sua analisi pone in risalto la rete di solidarietà che si venne a creare in Italia fra alcune importanti famiglie della nobiltà (e dell’alta borghesia) in difesa della dignità e della libertà nazionale dopo il tragico episodio dell’8 settembre 1943.

In tempi in cui non si parla d’altro che del tramonto delle élitea causa del loro scollamento dalla società civile, è di un certo interessa constatare che poco più di mezzo secolo fa, in Italia, nella grande lacerazione civile del periodo tra il 1943 e il 1945, un fenomeno come la Resistenza vedesse in prima fila gli esponenti di tante famiglie aristocratiche. Una nobiltà di sentimenti liberali, prevalentemente cattolico-liberali, alla quale appartenevano tanti tra gli ufficiali dell’esercito che, dopo l’8 settembre, animarono per fedeltà al re e alla patria la Resistenza militare contro i tedeschi; il sentimento di un liberalismo crociano ed einaudiano ben espresso dalle parole di Elena Croce: «Era un liberalismo […[ basato soprattutto sull’idea di fondo che in ogni manifestazione della vita umana [andava] in primo luogo salvaguardata la libertà dell’individuo». Accanto ai militari però c’erano anche tanti civili – e tra di essi moltissime donne – che svolsero una funzione di raccordo strategico e logistico assolutamente cruciale nelle fasi più difficili della lotta partigiana, e dei quali forse la storiografia si è finora occupata ancora troppo poco.

Verso la fine dell’estate del 1943, al pari della ben più nota ventitreenne Nilde Iotti, anche Cristina era una ragazza che, oltre a non essere né madre né sposa, non poteva vantare ancora una militanza politica, ma aveva ben presente il compito che avrebbe dovuto svolgere nella società. La svolta nella vita di Cristina Casana si ebbe nel 1944: in poco tempo le stanze di Novedrate e il suo Alcazar divennero, oltre che la base della Organizzazione Franchi, anche la sede di una radio clandestina gestita da Ernesto Balbo di Vinadio, nonché della operazione Nemo guidata dal comandante Emilio Elia. Era da qui che venivano trasmessi i messaggi cifrati che Radio Londra inviava ai partigiani.

Novedrate fu rifugio sicuro per tutti coloro che scappavano dalle persecuzioni, e che qui trovavano ospitalità a prescindere dalla loro appartenenza politica. E fu la sede dove vennero ideate la maggior parte delle operazioni di sabotaggio a danno dei tedeschi. Era in queste stanze che Costanza Taverna e le figlie Cristina e Lavinia svolgevano la parte delle padrone di casa, ma anche quella, più importante, di raccordo tra i vari nuclei resistenziali. Cristina stessa, più volte accompagnò Oliver Churchill, qui paracaduto con il compito di contattare le forze partigiane e quelle militari dell’alta Italia, a Milano.

Dal lavoro della Pace emerge il ruolo di primaria importanza svolto da alcune eminenti figure femminili che mettono a frutto una tradizione di raffinata formazione culturale, liberaldemocratica, antitotalitaria e di impegno sociale, diventando esse stesse protagoniste nel processo di democratizzazione del Paese che prese forma nel secondo dopoguerra. La loro mentalità, il loro coraggio che le condusse a mettere a rischio le loro stesse vite, è un valore aggiunto che concorre a superare ogni difficoltà per raggiungere l’obettivo principale: la conquista della libertà, la costruzione della democrazia.

La Resistenza, dunque, che ha unito persone e generazioni diverse in una comune azione antifascista e liberale, nel senso di antitotalitaria, ha coinvolto anche le donne che, in un mondo ancora tutto al maschile, si sono battute per l’indipendenza e per la libertà.

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