Democrazia e autocrazia

Le sfide, le insidie e le opportunità per l’homo democraticus

Flavio Felice

Nel nuovo numero della rivista “La Società” (5-6, 2022), edita dalla Fondazione Toniolo di Verona e diretta da Claudio Gentili, nella sezione “Ricerche”, si affronta il tema del “Futuro delle democrazie”, con contributi di Maurizio Cotta, Lorenzo Scillitani, Bruno Di Giacomo Russo, Leonardo Bianchi e del sottoscritto.

Si è voluto tematizzare il problema democrazia-autocrazia, ponendo al centro le sfide, le insidie e le opportunità di fronte alle quali oggi è posto l’homo democraticus, a partire dalla consapevolezza della reversibilità dei processi politici e individuando alcune ragioni della crisi che interessa buona parte dei sistemi liberali.

In tal senso, nell’ambito delle scienze umane, si individuano i possibili rimedi per promuovere una cultura liberale e democratica capace di resistere alle scorribande dei suoi nemici dichiarati e favorire un sistema istituzionale nel quale siano presenti luoghi di discussione critica dove poter nutrire gli ideali di libertà e di responsabilità

Ci siamo dunque interrogati sul futuro della democrazia, a partire dai cambiamenti in atto nei sistemi politici contemporanei. A tal proposito, crediamo sia necessario partire dalla costatazione, forse troppo spesso dimenticata, circa la non irreversibilità della conquista democratica. In breve, dal momento che i processi politici non sono determinati una volta per sempre, è perciò compito dello studioso tentare di distinguere i cambiamenti effimeri e contingenti da quelli profondi e strutturali.

In tal senso, abbondano analisi sociologiche compiute da studiosi che, in nome di un non precisato carattere o spirito dei tempi: fluido, liquido, impalpabile e aggettivi simili, giudicano riduttivo, in quanto “novecentesco”, riflettere sul binomio democrazia-autocrazia. Democrazia e autocrazia che oggi si presentano spesso come un tutt’uno, un amalgama di istituzioni formalmente democratiche, in un contesto culturale in cui i valori di riferimento sono però l’egemonia, piuttosto che il pluralismo, e il “modello pastorale”, paternalistico e populistico dell’uomo solo al comando, piuttosto che la continua discussione critica, esercitata attraverso il ruolo svolto dai cosiddetti corpi intermedi e enti concorrenti.

Crediamo che ciò sia tutt’altro che riduttivo e tanto meno passatista, così come i nostri nonni non temettero di apparire ottocenteschi e passatisti agli occhi dei loro contemporanei che fieramente rivendicavano la necessità storica del totalitarismo imperante. Quei nonni si batterono nel Novecento contro la fiera volontà di potenza in nome dei valori della libertà, della democrazia e della dignità di ciascuna persona, valori che anche allora ad alcuni apparivano desueti e ottocenteschi. Quei nonni lottarono anche contro coloro che, forse in buona fede, credettero che la marea totalitaria rossa, nera e bruna, che si stava abbattendo sul continente europeo, non si potesse arrestare ricorrendo alle categorie classiche del liberalismo e dell’umanesimo cristiano, ma che il liberalismo e il cristianesimo avrebbero dovuto fare i conti con il totalitarismo e scendere a patti con esso. Quella generazione non si arrese neppure di fronte al fatto che sotto le loro finestre sfilavano i carrarmati della Wehrmacht e che tutto sembrava ormai perso, convertito in bestiale potenza e conquistato dalle sedicenti forze dominatrici della storia. Quei nonni hanno creduto in “verità per se stesse evidenti”, altroché ottocentesche, ideali politici e valori umani perenni, in nome dei quali hanno sacrificato la loro giovinezza, quando non anche la loro vita.

Per questa ragione, ogni critica di passatismo alla riflessione sul binomio democrazia-autocrazia, in forza di una non identificata e retorica contemporaneità fluida e liquida, ci appare soltanto come l’ennesima resa ai fatti – non certo alla Wehrmacht – di cui la storia è ricca, benché la stessa storia sia anche testimone di quanto essa sia sterile, di fronte alla fecondità del coraggio di coloro che seppero sfidare quei fatti e sconfiggere i loro sommi sacerdoti.

Se la democrazia può essere difesa e promossa a partire dalla diffusione della cultura umanistica che stimola la mente critica e favorisce il valore del pluralismo fallibilista, vuol dire che essa necessita di spazi di discussione, affinché possa maturare una tale mente critica e si possano identificare i contorni dell’area nella quale si forma il consenso democratico. Per tale ragione, dovremmo fare molta attenzione all’erosione di tali spazi, in nome di una immediatezza democratica che annulla la necessaria distanza tra società civile e autorità politiche, la distanza nella quale si alimentano le istituzioni spontanee della società civile per poter meglio esprimere la dimensione critica e il limite al potere, i caratteri stessi sui quali si fondano i processi democratici; scrive Antonio Campati: «La pretesa di azzeramento della distanza tra chi governa e chi è governato minaccia direttamente la funzione rappresentativa, che si è gradualmente strutturata e rafforzata all’interno delle democrazie liberali soprattutto attraverso i corpi intermedi».

Dal momento che l’ampiezza dell’area di rappresentanza politica esprime anche la cifra inclusiva del processo democratico, riteniamo che tale aspetto impatti in maniera decisiva sull’attualità e ci consenta di esprimere un giudizio informato sulla qualità delle nostre istituzioni politiche. Inoltre, tale analisi sul funzionamento del sistema politico ci consente di mettere in luce come le tendenze alla disintermediazione si siano manifestate anche in altri frangenti della storia politica dell’Occidente, attraverso pensatori, movimenti e pratiche le più diverse; in tal senso, le recenti inclinazioni verso forme di immediatezza politica possono essere considerate l’ultimo capitolo di un lungo percorso, nonostante presentino comunque dei tratti inediti: il principale dei quali è il tentativo di scalfire l’architettura della democrazia rappresentativa per trasformarla in una democrazia immediata proprio grazie alla pervasività con la quale tali forme di immediatezza definiscono la maggior parte dei discorsi e delle prassi politiche.

In tempi recenti, la cosiddetta “democrazia immediata”, per dirla con le parole di Daniel Innerarity, è stata utilizzata per indicare un modello politico fortemente influenzato dai processi di disintermediazione, i quali renderebbero davvero esiguo lo spazio nel quale possono agire i corpi intermedi, enti concorrenti tra loro e concorrenti rispetto all’autorità politica.

Se la lunga marcia del liberalismo ha incrociato storicamente la lunga marcia della democrazia, oggi la liberal-democrazia appare fortemente minacciata dalle mai sopite tendenze a risolvere la decisione politica nella disintermediazione istituzionale e corriamo il rischio di assistere inermi ad un popolo ridotto a gregge che si consegna nelle mani di un governante sempre più uomo solo al comando.

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