di Francesco Forte
Per capire perché il progetto di riforma costituzionale Renzi-Boschi è inaccettabile e profondamente anti democratico conviene partire dal diagramma riguardante la teoria economica della democrazia di Buchanan e Tullock che ha una importanza centrale nella teoria del “calcolo del consenso” in regime democratico. Affinché non ci sia uno sfruttamento della maggioranza sulla minoranza e una oppressione di questa da parte di quella, in linea di principio, occorrerebbe adottare la regola dell’unanimità. Essa è suggerita da Wicksell nella sua teoria della soluzione ottimale per le scelte pubbliche. E corrisponde al criterio di Pareto del miglioramento del benessere collettivo secondo cui esso si ha quando tutti hanno un miglioramento (criterio di Pareto “forte”) o una parte lo ha, mentre per gli altri non c‘è danno (criterio di Pareto “debole”).
Ma la regola dell’unanimità, ottimale in teoria, in quanto evita lo sfruttamento e l’oppressione di una parte sull’altra, non lo è in pratica: per raggiungere il consenso unanime bisogna fare molte contrattazioni fra i votanti e ciò può dar luogo a tempi decisionali troppo lunghi e a soluzioni di compromesso confuse, che comportano inefficienza. Vale il detto “il tempo è denaro”. La regola della maggioranza semplice (il 50%+1) risolve abbastanza bene il problema dei costi delle decisioni, ma comporta il rischio che la maggioranza sfrutti la minoranza e la opprima. Ecco, perciò, che Buchanan e Tullock – come si vede osservando il diagramma della Figura 1 – suggeriscono una regola di maggioranza qualificata.
Nella Figura 1 la regola di votazione a maggioranza qualificata emerge sommando i costi delle decisioni con i costi dello sfruttamento della maggioranza sulla minoranza. Il punto di minimo di tale somma indica la regola di voto ottimale: essa, come dimostrano Buchanan e Tullock, si ottiene con una maggioranza superiore al 50% +1, che riesca a minimizzare i costi dello sfruttamento, senza accrescer troppo quelli delle decisioni.
Se decide solo l’1% il costo delle decisioni è vicino allo zero. Se decidono tutti, con voto unanime, almeno dei presenti, il costo delle decisioni è molto alto e raggiunge il suo massimo. Nella rappresentazione grafica della Figura 1 – tratta dal libro di Buchanan e Tullock sul calcolo del consenso – il costo delle decisioni è rappresentato dalla curva che inizia a sinistra a livello zero e man mano cresce, spostandosi verso la destra. I costi dello sfruttamento aumentano nella direzione contraria. Nella Figura 1 la curva che rappresenta il costo dello sfruttamento è nel suo massimo, nel suo lato sinistro del grafico, al suo inizio, quando la quota dei votanti, indicato sulle ascisse è zero, ossia nessuno vota. Poi, man mano che questa quota aumenta, la curva della entità sfruttamento si riduce sino ad azzerarsi quando la quota di coloro che decidono è il 100%, poiché con la votazione all’unanimità non ci può esser oppressione degli uni sugli altri. La curva dei costi dello sfruttamento nel teorema B-T si assume che i costi dello sfruttamento siano maggiori di quelli delle decisioni, ma non di molto: pertanto la curva che li rappresenta inizia con una altezza, misurata sulle ordinate del grafico, pari a quella dei costi delle decisioni all’unanimità. Ma scende gradualmente. Invece la curva dei costi delle decisioni aumenta di poco sino a quando si sia raggiunta la quota di maggioranza semplice, mentre poi subisce una drastica crescita. Sommando i costi dello sfruttamento, rappresentati da questa curva, che scendono gradualmente, con quelli delle decisioni, rappresentati dalla curva che va nella direzione opposta e dopo il 50% sale più rapidamente di prima, si ottiene la curva dei costi complessivi di ciascuna regola elettorale.
Questa curva, nella rappresentazione grafica della Figura 1, ha il suo minimo a poco più di tre quinti dell’asse delle ascisse, il che comporta che la regola ottimale, nella combinazione fra costi dello sfruttamento e costi delle decisioni, è la regola di maggioranza qualificata.
La regola di maggioranza semplice, date le ipotesi assunte, non è – generalmente – quella ottimale, perché se è vero che essa comporta bassi costi decisionali, è anche vero che essa consente alla maggioranza del 50,1% di sfruttare il restante 49,9% e ciò non fa molta differenza rispetto a una situazione in cui il 49% sfrutta il restante 51%. La regola della maggioranza qualificata riduce la possibilità di sfruttamento della minoranza più che in proporzione, perché implica di individuare carichi fiscali e oneri patrimoniali molto selettivi, il che non è facile, considerando sia i divieti che, generalmente, le costituzioni stabiliscono alle discriminazioni dei cittadini di fronte alla legge e sia il fatto che i tributi molto selettivi se hanno aliquote troppo alte finiscono a dare meno gettito.
D’altra parte il costo delle decisioni dipende non solo dalla regola di decisione, ma anche dal numero di membri dell’organo che discute e delibera. Inoltre la maggioranza qualificata può essere ottenuta mediante la adozione di delibere congiunte di più comitati o assemblee composte in modo diverso. Un metodo per attuare la regola della maggioranza qualificata senza aumentare troppo il costo delle decisioni è quello del bicameralismo, quando la seconda Camera, cioè il Senato, la cosiddetta “Camera alta” è eletta con criteri diversi dalla prima, è molto meno numerosa della Camera, decide solo sulle questioni più importanti ed è composta diversamente dalla Camera dei deputati o “Camera bassa”. Ciò, ad esempio, se i senatori sono eletti mediante collegi uninominali, su base regionale, mentre alla camera si votano i partiti, con un sistema proporzionale, su base nazionale. Un altro metodo per attuare la regola di maggioranza qualificata sono quello della Monarchia costituzionale e quello monocamerale o bicamerale con la elezione diretta del capo dello stato, che ha i poteri decisionali.
Per evitare l’oppressione e lo sfruttamento della maggioranza sulla minoranza, con il sistema bicamerale, non occorre che il Senato, composto in modo diverso dalla Camera, voti tutte le leggi. Basta che deliberi solo su quelle che riguardano il bilancio pubblico o comportano variazioni nel bilancio in precedenza approvato. Esse, infatti, possono dare luogo a sfruttamento della minoranza, perché possono aumentare la pressione fiscale o il deficit pubblico.
Il Senato dovrebbe essere, altresì, competente per le leggi che possono rappresentare un pericolo per la libertà e la sicurezza nazionale o che comportano modifiche della costituzione.
La riforma costituzionale di Renzi toglie il bicameralismo come regola per approvare i conti pubblici e lo affida a una sola camera, mentre fa eleggere il capo dello stato solo dalla Camera, di cui diventa l’espressione. Tale sistema, privo di poteri di bilanciamento, sarebbe pericoloso per la finanza pubblica, anche con la regola di votazione a maggioranza semplice (che però non è prevista dalla nuova legge elettorale, che dà il premio di maggioranza alla lista di minoranza dotata del quoziente più alto). Infatti esso darebbe luogo alla dilatazione della spesa pubblica, a carico dei contribuenti appartenenti alla minoranza e alla formazione di deficit pubblici a carico degli anni successivi della medesima legislatura e a quelli seguenti, mediante la creazione di debiti che servono a esser rieletti.
I grandi economisti fautori della maggioranza qualificata e del bicameralismo, da Luigi Einaudi che lo ha sostenuto nell’assembla costituente per la nostra costituzione, a James Buchanan, che ha avuto il premio Nobel dell’economia, proprio per gli studi sul calcolo del consenso, sanno bene che esso comporta l’allungamento del tempo della discussione parlamentare. Dunque quando Renzi dice che con questa riforma costituzionale “si risparmia tempo” dice una cosa vera, ma assai pericolosa, perché questo risparmio di tempo, quando si tratta di leggi con ricadute finanziarie, si traduce in sperpero dei pubblico denaro, che poi pagano coloro che non fanno parte degli elettori del partito al potere. Si risparmia tempo, ma si spreca denaro e si sfrutta una vasta platea di cittadini-contribuenti.
La riforma costituzionale attuale è peggiore, dal punto di vista fiscale e finanziario del sistema monocamerale con voto della maggioranza semplice, contro cui si battono gli economisti che vogliono una finanza pubblica responsabile, perché si collega a una riforma elettorale che dà il potere non alla maggioranza, ma alla minoranza, tramite la concessione di un premio di maggioranza sproporzionato, in nome dell’efficienza decisionale, assunta come dogma: non come variabile da tenere presente nel “calcolo del consenso” per porre un limite al principio che più importa: una finanza pubblica che sia espressione della volontà di tutti o del maggior numero possibile. La nuova legge elettorale infatti, stabilisce che il partito o la lista che nelle elezioni alla Camera ha il 40% dei voti, se nessun altra lista lo ha, ottiene un premio di maggioranza che le dà automaticamente la maggioranza assoluta dei membri della Camera. Inoltre nel caso in cui nessun partito o lista ottenga il 40% è previsto un ballottaggio in cui il premio della maggioranza assoluta compete al partito che ha più voti. Con il premio di maggioranza assegnato in tali circostanze, una lista con il 25% dei voti validi potrebbe ottenere la maggioranza assoluta della Camera. Potrebbe bastare anche meno, se gli astenuti e le liste di disturbo, con funzione di protesta, ricevono parecchi voti.
La riforma costituzionale Renzi-Boschi, combinata con la nuova legge elettorale, darebbe luogo allo sfruttamento non della maggioranza sulla minoranza, ma della minoranza sulla maggioranza. Questo sfruttamento sarebbe privo di freni.
La Figura 2 mostra l’enorme sfruttamento della minoranza sulla maggioranza che si realizzerebbe con una riforma elettorale che assegna a chi ha il 25% soltanto tutto il potere decisionale.
Il potere di quel 25% sarebbe pressoché assoluto. Infatti questa riforma stabilisce che, dopo il quarto scrutinio privo di esito positivo, il presidente della Repubblica può esser eletto con il 37,5% dei corpo elettorale e dopo il sesto appena col 37,% dei votanti.
Egli quindi sarà l’espressione di una ristretta minoranza organizzata. Inoltre, la riforma costituzionale Renzi-Boschi distrugge la regola costituzionale voluta da Einaudi per cui il presidente della Repubblica può rinviare alle camere le leggi prive di copertura finanziaria, in quanto toglie questo potere presidenziale per i decreti legge.
Infine poiché il voto di fiducia, con questa riforma, lo darebbe solo la Camera, un bilancio in deficit con spese e debiti elevati, statali e regionali, e locali ed oneri fiscali pesanti, potrebbe essere approvato dai rappresentanti di meno di un quarto dei cittadini del paese.
D’altra parte, la riforma costituzionale Renzi-Boschi, propone un sistema bicamerale con un Senato eletto in secondo grado che non si può occupare del bilancio della finanza pubblica nazionale perché ciò innescherebbe un gigantesco conflitto di interessi, oltre a quelli che è destinato a creare, essendo composto di rappresentanti di Regioni e grandi Comuni
E’ facile notare che l’argomento per cui il nuovo sistema si giustifica per la sua efficienza è mero sofisma perché ce ne sono molti altri che hanno lo stesso costo decisionale o un costo solo di poco maggiore, come quello di una maggioranza qualificata, mediante un Senato elettivo di 100 membri, composto in modo diverso dalla Camera, competente solo in materia di equilibri del bilancio e di decisioni fondamentali che riguardano “la legge e l’ordine”. Il costo delle decisioni non va confrontato solo con il costo dello sfruttamento, va anche confrontato con la qualità delle decisioni. Le curve di Buchanan e Tullock assumono decisioni di qualità omogenea, perché il modello è semplificato. Ma la “doppia lettura” del sistema bicamerale serve anche per migliorare la qualità delle leggi.
Certo, il diagramma di Buchanan e Tullock è puramente indicativo poiché il risultato della maggioranza qualificata del 62% dipende dalla forma specifica che hanno le due curve e non sappiamo quale sia la maggioranza qualificata che si ottiene con un sistema bicamerale riguardante solo alcune decisioni. Ma le ipotesi su cui si regge il grafico di Buchanan e Tullock danno un grande spazio ai costi delle decisioni. Inoltre, come si è notato, i costi globali delle decisioni pubbliche democratiche, a livello di governo centrale, possono venire ridotti considerevolmente se il Senato ha solo competenze sul bilancio e poche altre questioni fondamentali.
Del resto, l’aumento dell’efficientismo decisionale di breve termine non giustifica le gravi lesioni strutturali con effetti di lungo termine che si attuano derogando al principio di sovranità popolare applicato alla finanza pubblica.
L’affermazione che questa riforma comporta un risparmio di costi per la politica è un altro sofisma, ancora più facile da smontare. Questo risparmio si può ottenere in altri modi, migliori dal punto di vista dell’efficienza. La Camera è attualmente composta di 630 membri: se fosse ridotta a 530 sarebbe meno pletorica, potrebbe funzionare meglio. Il sistema bicamerale con Senato, composto da 100 membri, eletto direttamente dai cittadini con competenze per le leggi di bilancio e le loro variazioni e le questioni fondamentali della legge ed ordine e dei rapporti internazionali, come la dichiarazione di guerra o l’uscita dall’Unione Monetaria Europea, avrebbe costi della politica eguali o minori di quelli della riforma Renzi Boschi con il macchinoso sistema del Senato eletto in secondo grado fra i consiglieri delle assemblee Regionali e dei grandi comuni, per occuparsi di argomenti per i quali basta una sola Camera e non di temi fondamentali come l’uscita dall’euro zona o la dichiarazione di guerra o le regole europee sui bilanci pubblici e sul debito pubblico .
Mi sembra evidente che questo progetto di riforma costituzionale rappresenti un regresso rispetto allo statuto Albertino. Chi crede nella democrazia costituzionale, monarchico o repubblicano che sia, non lo dovrebbe votare neanche “turandosi il naso”.