Il patto economico fra generazioni

“Avvenire”, 11 giugno 2019

Flavio Felice

È da una vicenda narrata in The Merchant of Venice di William Shakespeare che Massimo Baldi coglie un aspetto problematico del rapporto tra politica ed economia, avendo come riferimento i valori della libertà e della responsabilità. Si confrontano due modelli socio-economici in conflitto; uno aristocratico, orientato ai valori tradizionali, ed uno protocapitalista, orientato allo scambio, dove il rapporto tra prestatore e debitore è antagonistico; scrive il nostro Autore: «Antonio invita Shylock a prestargli come si farebbe a un nemico, perché non si chiede a un amico il frutto dello sterile metallo, e Shylock non si fa pregare, imponendo la famigerata penale in caso di insolvenza – “una libbra della sua bella carne”». Fuori di metafora, la “libbra di carne”, afferma Baldi, è la “macelleria sociale” provocata dalle ferite inferte dal denaro al corpo sociale, al suo codice simbolico, da una “forza cieca” che svela la “verità inconfessabile del mercato”.

Nel presentare il bel libro di Baldi: Una libbra di carne. La crisi del debito pubblico e il patto fra le generazioni (Mimesis, 2019), vorremmo partire dalla fine, da lì dove l’autore considera l’analisi della sostenibilità prospettica del debito pubblico. Dal momento che Baldi riconosce la legittimità dei diritti dei creditori, ne consegue che la scelta dei governi è fra responsiveness verso le esigenze espresse dai cittadini e responsibility per gli impegni assunti nei confronti dei creditori.

Di fronte alla cifra tragica di una tale scelta, Baldi sottoscrive una concezione “antisostanzialistica” dello Stato, ossia come l’insieme delle “procedure che promuovono la formazione razionale della volontà collettiva”, secondo la prospettiva di Jürgen Habermas. A tal proposito, l’Autore mette a confronto due diversi approcci alla finanza pubblica: la welfare economics e la public choise. Rispetto alla prima, viene sottoposto a critica il modello del “despota benevolo” che massimizza una funzione di utilità sociale sotto il vincolo di bilancio intertemporale, mettendone in luce l’incompatibilità con l’individualismo metodologico e suggerendo una linea di continuità fra welfare economics, utilitarismo e concezioni dello Stato etico, sotto il segno del “sacrificio”. Rispetto alla public choice, dopo aver passato in rassegna le teorie contrattualiste di James Buchanan e di John Rawls, Baldi illustra l’applicazione del contractarian paradigm di Buchanan alla finanza pubblica e l’idea di una costituzione fiscale che garantisca una politica non-discriminatoria e riduca le esternalità negative delle scelte a maggioranza semplice.

Di fronte ad un simile scenario teorico, Baldi presenta l’alternativa del “patto”, che apre uno spazio di “trascendenza” politica, rispetto al puro agire strategico della contrattazione: il patto è il foedus e indica l’esposizione reciproca dei consociati, ma resta una forma di “solidarietà fra estranei” e non cede alle tentazioni comunitariste. Vengono quindi sottoposti a critica il “familismo”, inteso come ripiegamento sulla famiglia a scapito della collettività, e la soluzione “privatistica” al trasferimento dell’onere del debito pubblico, che viene mitigato attraverso l’eredità privata, perpetuando le diseguaglianze. Affinché si possa dare forma alla giustizia intergenerazionale, sostiene Baldi, sono necessari vincoli istituzionali alla discrezionalità delle politiche fiscali: il più significativo fra questi è il pareggio di bilancio, che peraltro dovrebbe essere calcolato non solo correggendo gli effetti del ciclo economico, ma anche escludendo la spesa per investimenti (golden rule).

In breve, possiamo affermare con l’Autore che l’imposizione di vincoli istituzionali alla spesa in disavanzo è coerente con il costituzionalismo liberale, nella misura in cui preservi al centro del proprio ordinamento uno spazio indisponibile alla discrezionalità politica, che non può essere occupato da alcuna maggioranza, ma che, al contrario, favorisca la creatività istituzionale, nel rispetto di alcune basilari linee direttrici: 1. prudenza fiscale per non creare la crisi di fiducia che rende più costoso il finanziamento stesso del debito; 2. riforme strutturali che favoriscano la crescita, mediante l’aumento della produttività; 3. riqualificazione della spesa pubblica, avendo come bussola gli investimenti, l’accesso alle pari opportunità e la protezione dei “temporanei perdenti” del mercato; 4. revisione della governance fiscale europea: forme più ampie di esenzione per la spesa pubblica per investimenti che, oltre a garantire maggiore giustizia intergenerazionale, appaiono funzionali ad un’economia di mercato dinamica, dunque, sociale.

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