Papa Francesco sollecita i Popolari europei a qualificare il loro pluralismo

Flavio Felice

“Il Domani d’Italia”, 12 giugno 2023

Ieri, domenica 11 giugno, Papa Francesco ha inviato un messaggio al Presidente del Gruppo Parlamentare del Partito Popolare Europeo Manfred Weber e ai Membri del relativo Gruppo parlamentare.

Nel messaggio, il Papa fa riferimento al pluralismo che un partito che si estende a livello continentale è necessario che manifesti e al patrimonio ricchissimo a cui un partito di ispirazione cristiana è opportuno che attinga, per portare un contributo originale alla politica europea; tale patrimonio è dato dalla dottrina sociale della Chiesa. Scrive Papa Francesco: “È chiaro che un grande gruppo parlamentare debba prevedere un certo pluralismo interno. Tuttavia, su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti”.

A tal proposito, tenendo conto delle matrici etico-culturali che interessano il Partito Popolare Europeo, come scritto poc’anzi, necessariamente plurale, e il riferimento al patrimonio di principi, di criteri di giudizi e di direttive d’azione provenienti dalla dottrina sociale della Chiesa, con particolare riferimento alla nozione di “bene comune”, più volte richiamata dal Santo Padre nel suo messaggio, credo sia possibile immaginare un popolarismo europeo che tenga insieme la matrice sturziana del popolarismo italiano e quella dell’economia sociale di mercato, proveniente dalla matrice tedesca, di ispirazione protestante. 

Il bene comune, inteso come metodo del vivere insieme in una società libera, è dato dalle condizioni civili e dalle comuni regole del gioco che consentono il perseguimento del bene di ciascuno: le comuni regole della civile convivenza che normano il conflitto, rendendolo civile, senza per questo negarlo. In fondo, il bene comune, per usare le parole di Sturzo, non esprime altro che il «finalismo della persona umana» che si fissa in regole e consuetudini che chiamiamo istituzioni. In questa prospettiva, il bene comune non si distingue dal bene individuale, dal momento che ogni bene individuale, affinché sia tale, dovrà risolversi nel bene comune e viceversa; qualora dovesse nascere un contrasto tra i due beni vorrebbe dire che uno dei due o entrambi «non sono veri beni». Scrive Sturzo: «io non ammetto che ci sia bene comune che non si risolva in bene individuale, né bene individuale che come tale sia opposto al bene comune. Il linguaggio ordinario è ingannevole quando oppone individuo a società, bene individuale a bene comune […]. Il bene individuale che è vero bene (sia il più soggettivo possibile come la scienza o l’onestà) diviene per se stesso bene comune».

il bene comune rinvia, prima di tutto, a un metodo: il metodo di libertà, la discussione critica su questioni di interesse comune. Tale metodo passa per il chiarimento del ruolo delle istituzioni della società civile nel suo complesso, immaginando la politica non come il campo che perimetra il regno della verità, quanto piuttosto una sfera particolare e delimitata della stessa società civile: la sua forma politica. Un ambito che contribuirà al bene comune nella misura in cui indicherà la via istituzionale che favorisce l’ordine e la pace: la “tranquillitas ordinis” agostiniana, per il perseguimento personale e associativo delle condizioni che descrivono il bene di ciascuno.

Nell’ambito della cultura politica legata alla tradizione dell’economia sociale di mercato tedesca, ciò significa che la libera concorrenza, intesa come cum-petere (cercare insieme, convergere), regolata dal diritto (law – norme di rango costituzionale), è assunta come parte integrante della politica sociale e un elemento indispensabile del bene comune: una parte del bene comune politico; la competizione è il dispositivo che ottimizza la capacità di problem-solving degli operatori politici ed economici ignoranti e fallibili, riducendo al minimo le possibilità di errore e, soprattutto, imparando dagli errori propri ed altrui (ordine spontaneo, non naturale). Compito dell’autorità politica è di promuoverla e di difenderla dai nemici di ogni tipo, specie e ideale, attraverso la costituzione di un ordinamento le cui istituzioni siano forti e credibili.

Secondo il giurista Franz Böhm, uno dei tre firmatari del manifesto di Friburgo del 1936, insieme a Walter Eucken e Hans Grossman Dörth, il ruolo del diritto è di servire il bene comune, inteso come il contrario dell’interesse corporativo, compresi gli interessi dei civil servants. Nel momento in cui il diritto si piega ai “privilegi acquisiti”, il rispetto per il diritto è compromesso e, con esso, anche il bene comune, in quanto principio organizzativo della vita economica, tende a scomparire. Il che produce effetti sul settore privato e sul comportamento degli imprenditori, i quali piuttosto che esercitarsi nell’arte dell’imprenditorialità e nella creazione di ricchezza, troveranno più vantaggioso manipolare le istituzioni politiche, dedicandosi al lobbismo politico. In questo scenario, i consumatori sono coloro che ci perdono, a causa dell’azione coordinata di imprese, partiti politici e sindacati ben organizzati, che essenzialmente manipolano i mercati a proprio vantaggio. La cornice morale della visione dell’economia sociale di mercato sul bene comune ha al centro il ruolo del diritto, in quanto dispositivo che tenta di rendere il mercato il più possibile privo di privilegi.

Credo che il senso più profondo dell’idea di bene comune che emerge dal messaggio del Papa sia racchiuso nelle seguenti parole: “Cari amici, facciamo memoria delle origini: non dimentichiamo come è nata l’Europa unita; non dimentichiamo la tragedia delle guerre del XX secolo. Il graduale e paziente lavoro di costruzione di un’Europa unita, in ambiti prima particolari e poi sempre più generali, che cosa aveva dentro come ispirazione? Quale ideale, se non quello di generare uno spazio dove si potesse vivere in libertà, giustizia e pace, rispettandosi tutti nella diversità?”.

Il richiamo da parte del Pontefice del metodo gradualista e funzionalista, ovvero della “cooperazione strutturata”, che ha caratterizzato l’inizio del processo di integrazione europea, con il suo corollario in termini di politiche per la concorrenza, ci aiuta a comprendere come, per la tradizione dell’economia sociale di mercato e per il popolarismo sturziano, “competizione” e “cooperazione” sono termini complementari, almeno nella logica, rispettivamente, della costituzionalizzazione della concorrenza e di un ordine politico autenticamente popolare. Inoltre, entrambi sono allergici all’interpretazione olistica della nozione di bene comune e condividono l’idea che il primo “bene”, comune a tutti, è dato dalle comuni regole del gioco, quelle che in Hayek assumono il nome di “norme di mera condotta”, mentre per l’economia sociale di mercato sono le norme di rango costituzionale e per Sturzo “l’utile politico possibile”. Infine, per entrambe le culture politiche, il bene comune si interpreta in maniera plurarchica e, dunque, ciascuna forma sociale partecipa quota parte e nessuna possiede il monopolio sul bene comune.

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