Il problema politico dei cattolici oltre il “ruinismo”

Flavio Felice, Fabio G. Angelini

Questa estate, con l’articolo “La questione cattolica, una centralità da ritrovare”, apparso sul Corriere della sera lo scorso 18 agosto, è stato Andrea Riccardi – accademico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e già ministro nel governo Monti – a farsi carico della “questione cattolica” nel pieno di una campagna elettorale dai toni accesi e in un contesto internazionale ed economico particolarmente difficile.

Riccardi tenta di individuare le ragioni della progressiva marginalità che ha interessato l’esperienza politica dei cattolici nel nostro paese: dalla fondazione del Partito Popolare di don Luigi Sturzo ai fasti della Dc, fino al suo scioglimento, essendo ormai venuta meno l’ipotesi di un impegno politico organizzato e contraddistinto dalla cifra culturale che offre la Dottrina sociale della Chiesa. Centralità della persona, inclusione sociale, difesa della vita dal concepimento, libertà e responsabilità, difesa della famiglia quale nucleo essenziale della società, libertà di insegnamento, tutela dei corpi sociali intermedi, sussidiarietà, solidarietà, opzione preferenziale per i poveri, tanto per richiamare alcuni temi che identificano la “questione politica dei cattolici”.

La “questione cattolica”, è bene ricordarlo, senza assumere un particolare colore politico, altro non è che “il problema politico dei cattolici” che non dovrebbe riguardare la difesa corporativa di questa o quella realtà ecclesiale e neppure della Chiesa italiana, intesa come organizzazione gerarchica nel suo complesso. Il problema politico dei cattolici riguarda, invero, la domanda su se, e come, i cattolici italiani (sia come elettori che come classe dirigente del paese) possano offrire un contributo all’implementazione dei processi democratici e inclusivi nel nostro paese, su come cioè rendere la nostra democrazia migliore, le nostre libertà più praticabili e i diritti sociali più tutelati, in un contesto civile di riconoscimento di contestuali diritti e doveri, al riparo tanto dalla tecnocrazia quanto dalla tirannia della maggioranza e da un mercato senza regole.

L’articolo di Riccardi offre importanti spunti rispetto alla progressiva marginalità del mondo cattolico, individua nel “ruinismo” la cifra strategica del cattolicesimo politico post democristiano; il “ruinismo” risolve l’emergenza dettata dallo scioglimento della Dc, assegnando la supplenza dell’azione politica alle gerarchie, le quali si sono trovate a svolgere il ruolo di mediazione politica. Il “ruinismo” ha significato, dunque, la messa ai margini dell’autonomia politica dei laici, a favore di un impegno diretto delle gerarchie nella selezione della classe dirigente cattolica, compresa la scelta dei ministri. Passata l’emergenza, il “ruinismo” avrebbe dovuto lasciare progressivamente spazio all’autonomia dei laici, ma ciò non è accaduto e l’offerta politica dei cattolici, di fatto, è evaporata. Riccardi non si fa però carico di dare una risposta al “problema politico dei cattolici” affrontandolo dal punto di vista dell’offerta politica. Egli sembra invece rassegnato ad operare unicamente sul lato della domanda: “esprimere le dimensioni della propria realtà e responsabilità”.

Riccardi offre un ricco resoconto del funerale dei cattolici in politica, individua la causa del clericalismo, ma ad esso sembrerebbe rimanere imbrigliato, scrive giustamente di una chiesa del concreto, della preghiera e attenta agli ultimi, ma non ritiene che questa Chiesa possa espriemere un’offerta politica per il paese. Se però si resta ancorati al lato della domanda, la risposta al problema politico dei cattolici si svilisce nell’individuazione, di volta in volta, del soggetto politico che promette maggiore rappresentanza degli interessi che si intendono tutelare. Non riuscendo a liberarsi dalla logica del “ruinismo” non resta allora, come sembra fare Riccardi, che denunciare i limiti dell’attuale gerarchia cattolica nel praticare quella logica nel confronto con l’interprete originale.

Dal nostro punto di vista, questo modo di pensare andrebbe riposto definitivamente in soffitta e sostituito da un approccio che sappia riconoscere l’autonomia dei laici rispetto alle gerarchie e invece di andare alla ricerca di referenti nei vari schieramenti, andrebbe premiata l’eventuale capacità delle forze politiche (attuali e future) di mettersi direttamente in ascolto della società civile, contribuendo a instaurare, anche attraverso le tante realtà che contraddistinguono l’impegno sociale dei cattolici, dall’istruzione alla sanità fino al credito, un dialogo aperto e franco, in grado di far emergere i valori di fondo della nostra realtà sociale e rispondere alla domande di libertà, di sicurezza e di autonomia che da essa pervengono.

Riformando, ad esempio, il sistema fiscale nella direzione di una progressiva riduzione della pressione fiscale e di una maggiore efficienza della spesa pubblica, riperimetrando il sistema dei servizi pubblici nel segno della libera scelta degli utenti e della sinergia tra erogatori pubblici e privati, piuttosto che della marginalizzazione di questi ultimi, fornendo risposte ai bisogni delle famiglie, nel rispetto della dignità del lavoro e rinunciando al ricorso a forme di assistenzialismo che, anziché promuovere la mobilità sociale, contribuiscono al suo immobilismo, creando disuguaglianze e impoverendo il paese.

Se non si ha il coraggio di cambiare approccio, il risultato sarà quello di relegare una parte importante della società civile italiana al ruolo di questuanti, illudendosi che un parlamentare qua, un sindaco là e un ministro altrove possano risolvere un problema politico che invece richiederebbe l’impegno di tutti a dar vita ad un’offerta politica coerente con la Dottrina sociale della Chiesa, aconfessionale, organizzata secondo i principi di democrazia, di inclusione, di libertà e di responsabilità.

In assenza di una forza politica che sul lato dell’offerta si ispiri esplicitamente alla tradizione del cattolicesimo politico e nella speranza che qualcosa accada nel futuro, c’è oggi l’opportunità per le forze politiche di intercettare la “questione cattolica”, collocando la risposta al problema politico dei cattolici sul terreno della democrazia, della partecipazione, della tutela e della dignità della vita in tutte le sue fasi, della libertà d’insegnamento e di tanti altri temi, nel rispetto dei principi di solidarietà, di sussidiarietà e di poliarchia. Riteniamo che così si possa contribuire alla definizione di un’offerta politica realmente in grado di interpretare le legittime istanze di coloro che ancora riconoscono le proprie radici culturali nell’esperienza cristiana.

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