“Avvenire”, 16 novembre 2024
Flavio Felice
Nel suo più recente libro: Non violenza e costituzione. Lezioni di “Dottrina dello Stato” (Giappichelli, 2024), il costituzionalista Antonino Spadaro affronta in maniera dettagliata e profonda le dinamiche che interessano il soggetto politico che, dall’età moderna ad oggi, pur tra vette e abissi (più abissi che vette a parere di chi scrive), ha rappresentato il baricentro dell’ordine politico. Tale soggetto è l’organizzazione giuridico-politica che chiamiamo Stato, emerso in età moderna come strumento di stabilizzazione della forza attraverso la fiera rivendicazione del monopolio del potere. Nel corso dei secoli, tale rivendicazione si è manifestata in tanti modi e in gradi differenti, fino a sfociare nella modalità del totalitarismo novecentesco, che, per alcuni è stata la massima evoluzione del grado di monismo di cui lo Stato è intrinsecamente portatore, mentre, per altri, un salto di specie datosi, in quanto possibile, ma non per questo necessario.
Il libro di Spadaro è una mappa delle innumerevoli teorie dello Stato, inserendosi, come si evince espressamente dal sottotitolo, nell’ambito di una disciplina controversa. La “dottrina dello Stato”, è lo stesso autore a ricordarlo, almeno in Italia, nasce come strumento ideologico del regime fascista. Ebbene, il libro di Spadaro esprime il tentativo di operare una risistemazione delle tante teorie dello Stato intorno a una prospettiva decisamente originale e ricca di possibili sviluppi.
Il libro si articola in tre parti più un’appendice dedicata alla più recente dottrina sullo Stato costituzionale in Germania. In particolare, le tre parti si concentrano, rispettivamente, sul fondamento e sulla storia dello Stato costituzionale, sui problemi dello Stato costituzionale e sulla natura e sulla prospettiva dello Stato costituzionale. Si comprende immediatamente come, al centro della riflessione di Spadaro non ci sia una generica nozione di Stato, quanto una sua particolare incarnazione storica: lo “Stato costituzionale”. Il cuore del libro consiste proprio nello studio della dottrina costituzionale dello Stato, un ordinamento che si ispira al costituzionalismo, in quanto corrente di pensiero giuridica e politica, legata ai principi della liberaldemocrazia e del personalismo cristiano.
Data la vastità degli argomenti trattati dall’autore, mi limiterò ad accennare a due temi ben presenti nel libro e che ritengo possano avere un forte impatto nel dibattito politico contemporaneo. In primo luogo, il tema della sovranità. Opportunamente, Spadaro sottolinea come la nozione di sovranità sia storicamente mutuata dalla teologia: Maiestas summa legibusque soluta. Ora, il detentore di un simile potere non può che essere un dio e le esperienze storiche non fanno che confermare la deriva idolatrica del potere sovrano: duce, conducator, fürer. In breve, la sola idea che possa esistere un potere che non riconosce nessuna autorità superiore deraglia facilmente nell’abuso di potere, nel delirio di chi, in nome della forza, si impone come un dio in terra: eritis sicut deus. Di qui, afferma Spadaro, per quanto la sovranità possa occupare un posto di primo piano tra le categorie politiche classiche, essa rappresenta un “vecchio arnese” di cui sarebbe bene disfarsi, quanto meno sul piano giuridico.
Un secondo tema al quale credo valga la pena fare cenno riguarda l’istanza della non violenza come qualità dello Stato costituzionale e espressione dello sturziano “metodo di libertà”. A partire dalla considerazione che lo Stato costituzionale, a differenza dello Stato panteista, è limitato, non occupando la scena del politico in forma monopolistica, ma riconoscendo il carattere plurarchico della società e poliarchico dell’ordine politico, Spadaro presenta una teoria della non violenza che tende ad implementare l’agostiniana tranquillitas ordinis. La non violenza avrebbe a che fare con la contingenza umana, con la piena consapevolezza del carattere fallibile e imperfetto della costituzione fisica e morale della persona. Non si tratta dunque di una visione ideologica che esclude il dato contingente del conflitto o che intende superarlo in none di una sintesi sovrana: l’ipostasi di un Noi, che poi non è altro che la pretesa di un Io che ce l’ha fatta, ma di una prospettiva personalista in cui il conflitto, in nome della libertà di coscienza, appare irriducibile e le regole svolgono la funzione di renderlo civile.
