Il liberalismo assente e i guardiani della democrazia

Flavio Felice

In un paese mediamente liberale, l’articolo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato dal Corriere della Sera sabato 25 maggio, dal titolo: La democrazia a senso unico. Cresce la pretesa di negare legittimità alle idee diverse da quelle di sinistra, terrebbe banco a lungo nel dibattito pubblico, temo invece che non sarà così. Ebbene, poiché penso che l’articolo in questione meriti un’attenta riflessione, ho provato a buttare giù poche righe sulla qualità liberale del dibattito pubblico nel nostro paese, partendo proprio da alcune considerazioni esposte da Galli della Loggia. Un dibattito che interessa sia la vita politico-istituzionale sia la comunicazione politica presente nei palinsesti delle varie reti televisive e nei differenti organi di informazione.

Un primo aspetto affrontato da Galli della Loggia rinvia al grado di legittimità che la “Repubblica democratica” italiana, a partire dalla Carta costituzionale, riconoscerebbe alle idee politiche non conformi al paradigma socialista, socialdemocratico o progressista che dir si voglia; sempre che sia possibile definire erga omnes che cosa voglia dire progresso. In base a tale pretesa, la democraticità della Repubblica e la legittimità democratica dei partiti consisterebbero nell’essere programmaticamente orientati in senso socialista, socialdemocratico e progressista, così facendo si rispetterebbe la vocazione antifascista della Repubblica. È evidente che, se considerassimo sensata una tale interpretazione della Carta costituzionale, dovremmo ammettere che la Costituzione italiana non presenta i caratteri del costituzionalismo liberale; il che lo trovo assurdo e falso.

Bisogna ammettere che, ascoltando e leggendo le analisi e i commenti politici di buona parte di una certa intellighenzia – Galli della Loggia prende in considerazione il libro di Nadia Urbinati e Gabriele Pedullà: Democrazia afascista (Feltrinelli) –, la Costituzione italiana è presentata come un programma politico “sostanzialmente” già definito, la cui applicazione richiede la rigida coalizione dei suoi “guardiani”, a difesa di un programma socialdemocratico, in nome dell’arco costituzionale antifascista dell’immediato dopoguerra. È evidente che si tratta di una rappresentazione del costituzionalismo degna di uno Stato etico, in cui la legge fondamentale, piuttosto che prevedere i limiti e i dispositivi per il controllo di chi detiene il potere, finisce per rappresentare il programma politico di un partito o di una coalizione che si arroga il diritto di assegnare patenti di eticità e di legittimità democratica.

In nome di tale pretesa, tutta la storia repubblicana, dal secondo dopoguerra ad oggi, sarebbe segnata dalla dialettica politica tra due schieramenti: quello costituzionale: democratico per il solo fatto di richiamarsi storicamente all’arco costituzionale antifascista, e quello anticostituzionale: antidemocratico non in quanto fascista, ma in quanto “afascista”, ossia, non impegnato programmaticamente al fianco della coalizione che si presenta come “guardiana” della Costituzione.

È evidente che una simile dialettica rende impossibile il civile dibattito politico tra differenti posizioni, tutte legittimate a governare, nella misura in cui la sovranità popolare, che “appartiene” al popolo, è esercitata nelle “forme e nei limiti della Costituzione”. È questa la cifra che legittima l’esercizio del potere nei termini del costituzionalismo liberale, senza che nessun partito o coalizione si arroghi il diritto di essere il “guardiano” della Costituzione.

La tendenza ad esercitare una simile pretesa da parte di alcuni partiti è emersa con particolare forza all’indomani del terremoto di Tangentopoli. In quella occasione, la DC, il partito-governo che ha rappresentato per un quarantennio il baricentro del sistema politico, nel pieno riconoscimento della legittimità dell’opposizione espressa dal PCI, in quanto attore protagonista della fase costituente, si divise in due tronconi: il filone cosiddetto di sinistra che ha inteso preservare l’unità dell’arco costituzionale, a difesa di un’idea di costituzione come programma politico predefinito dai Padri costituenti, e un secondo filone che, invece, constatata la fine di una stagione che aveva conosciuto una significativa unità dei cattolici all’interno di un partito, ha interpretato la nuova stagione nel nome di un tendenziale bipolarismo che però necessita del reciproco riconoscimento. In breve, dall’unità nazionale della Prima Repubblica, fatta di governi di coalizione e di rapporti consociativi con l’opposizione del PCI, siamo passati al PD, il partito della difesa dell’arco costituzionale; il disegno politico dossettiano si realizza esattamente in questi termini.

A questo problema di ordine teorico-politico si salda un secondo aspetto, di ordine politico-comunicativo. Tutta la comunicazione politica è all’interno di questo schema, la radicalizzazione del discorso pubblico si è polarizzata intorno alla dialettica fascismo/afascismo-antifascismo, dove i fascisti e gli afascisti sarebbero tutti coloro che non appartengono al suddetto arco costituzionale e gli antifascisti tutti coloro che si oppongono ai primi, dimenticando che la cifra del fascismo è la conquista e il mantenimento del potere mediante la violenza ed è questo l’autentico carattere antifascista della nostra Costituzione, per il quale varrebbe la pena coalizzarsi e resistere, contro i nuovi fascismi che possono venire da entrambi gli schieramenti. Il risultato è una perenne reciproca delegittimazione in nome di visioni della democrazia neppure troppo distanti tra loro e comunque estranee alla tradizione liberale.

Nei talk-show politici tale schema si manifesta in maniera lampante e si traduce nella costruzione di programmi nei quali il/la conduttore/conduttrice seleziona gli ospiti che possano confermare le sue tesi, infatti, gli ospiti sono chiamati a rispondere a domande puramente retoriche che accarezzano le convinzioni proprie e del/della conduttore/conduttrice; le reti Rai, Mediaset e La7, da questo punto di vista, sono esattamente identiche.

I due ordini di problemi segnalano la cifra illiberale del discorso pubblico nel nostro Paese, esprimono un’idea di democrazia che non ha nulla a che fare con la prospettiva liberale della società aperta, lì dove la democrazia è un’incessante discussione critica su questioni di interesse comune, l’appassionata ricerca del possibile consenso sul legittimo dissenso.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di Angela Lombardi Angela Lombardi ha detto:

    Efficacissimo, incisivo , centrato, illuminante questo articolo del Prof . Flavio Felice . Anche l’accento sul tema della disinformazione è di estrema attualità, meriterebbe di essere affrontato nelle iniziative specificatamente rivolte ai giovani studenti, quali i programmi di Educazione civica, per stimolarli a sviluppare una coscienza critica .

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