Nuove regole fiscali per rilanciare una sovranità condivisa

di Fabio G. Angelini (Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2023)

L’allarme sui rischi di un passivo ritorno alle previgenti regole del Patto di stabilità non riguarda solo le implicazioni sulla nostra prossima manovra finanziaria ma, più in generale, il futuro posizionamento dell’UE sullo scacchiere mondiale, i cui equilibri sono in rapida evoluzione.

Quello lanciato dal Presidente Mattarella e, prima di lui, dall’ex Premier Mario Draghi sul The Economist, è un monito contro il rischio concreto che l’UE non riesca a raggiungere gli obiettivi sul cambiamento climatico, sulla sicurezza e sulla preservazione della sua base industriale, che invita gli Stati membri – e la Germania in particolare – a guardare nella direzione di un diverso assetto istituzionale, certamente fondato su regole di bilancio rigorose ma ispirate al paradigma della sovranità condivisa e, dunque, dell’autonomia nella responsabilità.

Chi diceva che l’austerity sarebbe finita con il NextGenerationEU e che i vincoli di finanza pubblica non sarebbero più tornati, semplicemente sbagliava. In primo luogo perché l’Europa dell’austerity in antitesi con la sovranità popolare era una rappresentazione potente, ma fuorviante. Si trattava di un’immagine elettoralmente appagante ma controproducente per il Paese. In secondo luogo perché i vincoli europei, espressione del costituzionalismo economico, non sono affatto in antitesi con la sovranità popolare. Essi, al contrario, ne accrescono in un certo senso lo spazio di azione, promuovendo l’equilibrio tra sfera pubblica e sfera privata, tra ordine politico, ordine economico e ordine sociale contro le tendenze sempre in agguato del Leviatano, svolgendo una funzione complementare sia rispetto al costituzionalismo democratico che al costituzionalismo sociale. E ciò vale sia a livello interno che sovranazionale. 

Il costituzionalismo economico rappresenta dunque un argine contro le disfunzioni tipiche dello Stato pluralista, baluardo delle nostre libertà, tanto economiche quanto politiche: un presidio della sovranità popolare che richiede una diversa modalità di conduzione delle politiche democratiche, a maggior ragione nell’ambito di un’unione monetaria. Le regole di bilancio sono espressione di questo paradigma economico-costituzionale che, come abbiamo ormai sperimentato, è qualitativamente diverso rispetto a quello su cui si sono radicate le nostre dinamiche democratiche.

Seguendo questa impostazione, che risulta peraltro coerente proprio con la prospettiva dell’ordoliberalismo tedesco, il Patto di stabilità va perciò riformato correggendo alcuni errori del passato e riconfigurandone regole e meccanismi di funzionamento. L’iniziale proposta della Commissione aveva il merito di ricalibrare le regole in termini procedurali, delineando un framework giuridico in grado di ancorare il confronto con i Paesi membri su binari discorsivo-razionali, salvaguardando la titolarità dell’indirizzo politico-economico in capo agli esecutivi nazionali e, nello stesso tempo, circoscrivendone però il perimetro entro il modello dell’economia sociale di mercato recepito nei Trattati. Quella dello scorso aprile, nel recepire alcune richieste della Germania, introduce invece alcuni automatismi nell’applicazione delle regole, riducendo così la discrezionalità della Commissione. La Germania avrebbe voluto che tali automatismi fossero resi ancora più stringenti ma ciò ne snaturerebbe la funzione, facendoci ricadere nuovamente vittime di un’errata concezione quantitativa dei vincoli finanziari.

In questo dibattito occorre perciò giungere al più presto a un compromesso politico in grado di rassicurare i Paesi frugali senza però smentire la funzione procedurale dei vincoli di finanza pubblica. Del resto, come insegna la constitutional political economy, in continuità con l’ordoliberalismo tedesco, in un’unione monetaria la salvaguarda della sovranità degli Stati membri richiede necessariamente un approccio istituzionale cooperativo e, dunque, relazioni politiche fondate sulla fiducia, capaci di fare appello alla responsabilità. La fiducia non può essere sostituita da automatismi basati su parametri quantitativi senza correre poi il rischio di prestare il fianco a dinamiche speculative sui mercati, come già avvenuto in passato.

Questa discussione può rivelarsi una grande occasione per l’Italia se, abbracciato tale paradigma economico-costituzionale, deciderà di concentrarsi sul perfezionamento delle dinamiche istituzionali interne da cui dipende la tenuta del nostro stato sociale e, dall’altro, sull’esigenza di esprimere una politica europea in grado di ottenere dall’UE (secondo la logica ordoliberale degli interventi conformi al mercato) quelle risorse necessarie per portare avanti le riforme strutturali e gli investimenti che servono al nostro sistema economico e che, proprio a causa dei vincoli finanziari europei, non saremmo in grado di sostenere in assenza del supporto del partner europei.

Ne beneficerebbe l’Italia e, con essa, l’Europa intera, mai come in questo momento, in cerca di una nuova leadership capace di affiancare la Germania nella guida politica dell’UE. Un ruolo a cui l’Italia può senz’altro ambire contribuendo a modernizzare l’assetto istituzionale dell’UE secondo il paradigma della sovranità condivisa.

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