Autunno democratico e società della vita

di Fabio G. Angelini, Università Uninettuno di Roma

L’equilibrio tra economia di mercato e democrazia si è dimostrato decisamente più fragile di quanto potessimo immaginare. Dovremmo ormai aver compreso che la crescita economica non può essere un fine a sé stante e che la stabilità politica è tutt’altro che scontata. Entrambe dipendono infatti, in modo indissolubile, dalla nostra capacità di orientare risorse, capacità di innovazione e di regolazioneverso ciò che protegge e rafforza la vita. Quando invece le dinamiche di mercato finiscono per erodere beni fondamentali come la fiducia e il pluralismo, le basi stesse della prosperità e della democrazia ne risultano profondamente minate.
L’equilibrio tra economia di mercato e democrazia si è dimostrato decisamente più fragile di quanto potessimo immaginare. Dovremmo ormai aver compreso che la crescita economica non può essere un fine a sé stante e che la stabilità politica è tutt’altro che scontata. Entrambe dipendono infatti, in modo indissolubile, dalla nostra capacità di orientare risorse, capacità di innovazione e di regolazioneverso ciò che protegge e rafforza la vita. Quando invece le dinamiche di mercato finiscono per erodere beni fondamentali come la fiducia e il pluralismo, le basi stesse della prosperità e della democrazia ne risultano profondamente minate.

Alcuni, a torto o a ragione, hanno parlato di fallimento del regime liberale. Sia come sia, da questa amara lezione, alla luce delle caratteristiche dell’economia digitale e delle dinamiche di potere che in essa si sviluppano, e che vanno ben oltre il terreno dei mercati interessando le dinamiche politiche e culturali globali, deriva il timore di un imminente autunno democratico, di una economia di mercato destinata cioè sempre più a porsi come dominatrice incontrastata della vita umana, in un contesto geopolitico sempre più frammentato e conflittuale. 

In questo scenario c’è chi, come il politologoamericano Patrick J. Deneen, in questi giorni ospite al Meeting di Rimini, parla della necessità di un cambio di regime, di affrontare cioè la crisi di significato e la perdita della dimensione comunitariache affligge le società liberali. Questa tesi coglie un punto centrale, sebbene essa si scagli non contro il liberalismo in sé ma contro la sua degenerazione progressista, i cui limiti sul piano culturale prima ancora che politico sono ormai evidenti. 

A partire da una riflessione critica sull’attuale crisi delle democrazie liberali, seguendo il corso della storia, sembra auspicabile la prospettiva di una società della vita, un paradigma economico e sociale che rinvia a un rinnovato patto costituzionale in cui la solidarietà si pone come il fulcro tanto di un sistema economico a misura d’uomo quanto di una democrazia in salute. Esso rinvia a una solidarietà integrata nella logica del mercato e una concorrenza capace di alimentare quel pluralismo necessario tanto al funzionamento del sistema democratico quanto di quello economico, entrambi intesi quali ingredienti essenziali per il rafforzamento del tessuto sociale efattori di efficienza e di resilienza in grado di rendere il sistema più forte e stabile.

La società della vita e il suo connesso paradigma economico-costituzionale fanno propria l’intuizione secondo cui, se disconnessa dal suo fine ultimo e, dunque, dall’obiettivo della promozione integrale della persona, l’economia rischia di diventare un sistema che sfrutta la vita umana anziché promuoverla. Un sistema economico sano non può fondarsi sulla manipolazione o sullo sfruttamento ma sul rispetto della vita in tutte le sue forme, sulla dignità della persona, sull’integrità delle relazioni esulla salute del pianeta. La solidarietà e la cooperazione si pongono allora come necessari anticorpi contro tale visione che, proiettandosi sul complesso intreccio tra democrazia e capitalismo,vorrebbe ridurre l’essere umano a mero ingranaggio del mercato e dell’economia. 

La società della vita richiede perciò una rigenerazione del nostro patto economico-costituzionale. Non si tratta di limitare l’iniziativa privata ma, al contrario, di intervenire proponendo una profonda ristrutturazione del nostro sistema economico dal lato dell’offerta, orientando il sistema produttivo verso l’economia della vita e, dunque, verso quei settori capaci di porre al centro le capacità umane e la relazionalità che è propria della persona, di proteggere la salute e l’ambiente, mettendo al riparo la comunità da rischi sistemici. Ciò al fine di ampliare lo spazio della reciprocità e, dunque, quella specifica dimensione dello scambio sociale che, ponendosi tra democrazia e mercato, contribuisce al miglior equilibrio tra ordine politico, ordine economico e ordine etico-culturale che è al cuore del capitalismo democratico. 

L’Europa, le cui radici giudaico-cristiane offrono una chiave di lettura indispensabile per comprendere gli stravolgimenti in atto alla luce della sua storia millenaria, è così chiamata suo malgrado a diventare la culla della società della vita la cui cartina di tornasole sarà la capacità di convertire la sua capacità produttiva in un’economia della vita in grado di assicurare una libertà responsabile, il rispetto della dignità umana e la sicurezza per le generazioni future. Solo così, l’economia di mercato e la democrazia, in Europa e nel mondo, potranno sostenersi e rafforzarsi reciprocamente, trasformando la solidarietà in una potente strategia di sviluppo e stabilità duratura. Solo così potremo forse scongiurare l’autunno democratico che sembra essere alle porte. 

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