Flavio Felice
“Il Quotidiano del Sud”, 18 febbraio 2024
Il quarantesimo anniversario dell’Accordo di Villa Madama, stipulato il 18 febbraio tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, offre l’occasione, ancora una volta, di riflettere sulla questione, sempre attuale, della libertà religiosa.
Dopo un lungo processo politico e il susseguirsi di commissioni di esperti, nell’ottobre del 1976 iniziò la trattativa. Il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti chiamò il senatore Guido Gonella, Arturo Carlo Jemolo e Roberto Ago; come ricorda il cardinale Achille Silvestrini: «una trattativa che si avviò in modo quasi clandestino. Andreotti voleva presentarsi al Parlamento con la sorpresa, finalmente, di una proposta concreta: la trattativa cominciò ai primi di ottobre, riunendoci, nella Nunziatura a via Po. La delegazione della Santa Sede era presieduta dal S.E. monsignor Casaroli, allora segretario del Consiglio, composta da padre Salvatore Lener, studioso di diritto e scrittore di “Civiltà Cattolica”, e dal sottoscritto. La trattativa si protrasse per alcuni anni. Terminò nel 1982».
Per comprendere la profondità di quella stagione politica che vide tra i protagonisti il segretario del PSI Bettino Craxi, che firmò la riforma del Concordato insieme al Segretario di Stato il Cardinale Agostino Casaroli, è utile ricordare la testimonianza dell’allora senatore Gennaro Acquaviva, il quale, da cattolico, legato all’esperienza delle Acli di Livio Labor, nel 1972, entra nel PSI e diventerà un punto di riferimento nei rapporti tra il leader socialista e le gerarchie della Santa Sede. Scrive Acquaviva: «Quello che mi ha sempre meravigliato, e anche impressionato, nell’atteggiamento di Bettino Craxi rispetto alla spiritualità, alla religione, al ruolo dei credenti nell’impegno sociale e, naturalmente, nella politica, all’azione della Chiesa in Italia, era la curiosità, l’attenzione sempre vigile, la voglia di capire».
Ebbene, al cuore di tale crocevia della storia, in termini culturali, credo si possa individuare la nozione politico-giuridica di libertà religiosa e, a tal proposito, vorrei ricordare il contributo del giurista e politico Francesco Ruffini. L’opera di Ruffini è vasta e multiforme, l’arco di vita di Ruffini va dal 1863 al 1934, il suo impegno accademico sarà ininterrotto dal 1886 al 1931, anno del “gran rifiuto” a prestare giuramento al regime fascista.
Come ricorda Andrea Frangioni nell’importante biografia Francesco Ruffini. Una biografia intellettuale (il Mulino, 2017), tre appaiono essere gli elementi che troviamo nella formazione di Ruffini e che poi ritroviamo nella sua produzione scientifica e, in altri termini, nel corso della sua lunga attività politica come senatore del Regno e ministro della Pubblica Istruzione. 1. L’individuazione nel diritto canonico di una delle radici del diritto italiano; 2. l’attenzione alla storia dei singoli istituti giuridici che condizionerà la sua concezione dei rapporti tra Stato e Chiesa; 3. l’attenzione rivolta al ruolo dei soggetti collettivi in ambito giuridico e alla loro “conoscibilità” da parte del diritto.
Nel ricordare il quarantesimo della firma dell’Accordi di Villa Madama, il contributo di Ruffini ci aiuta a superare le categorie politico-giuridiche che da sempre caratterizzano le vertenze tra Stato-Chiesa: le differenti forme di separatismo laico come risposta alla teocrazia e al cesaropapismo. Tale superamento avverrebbe in forza della categoria politico-giuridica di libertà religiosa, come esito del “giurisdizionalismo liberale”, e introduce nel campo della teoria politica una interessante diade: il paradigma della libertà religiosa vs. quello della laicità, espressione di un’ulteriore diade, che vede contrapposti poliarchia e monismo.
Vorrei ricordare in breve che Ruffini appartiene a quella schiera di autori, in particolar modo di giuristi, che affrontarono le suddette vertenze come “lotte di giurisdizione”, di qui l’espressione “giurisdizionalismo”. In una bella pagina del secondo volume dell’opera Chiesa e Stato, Luigi Sturzo, teorico di un ordine plurarchico della società, che si oppose al Concordato del ’29 perché con il fascismo non si concorda, individua proprio in Ruffini un esponente di spicco di tale filone di pensiero, il cui punto di vista ha avuto il merito di «mettere in evidenza molti elementi strutturali dello stato e della chiesa e a dar ragione delle reciproche posizioni assunte».
In Ruffini, la libertà religiosa assume un carattere fondamentale nelle opere La libertà religiosa. Storia di un’idea del 1901 e Libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo del 1924. In entrambe emerge un’impostazione che rifugge tanto dal confessionalismo o “curialesimo”, quanto dall’anticlericalismo e affiora la ricerca di una via che sia autenticamente ispirata al «sincero e appassionato interesse al fatto religioso».
Tale via è il “giurisdizionalismo liberale” che si oppone al “separatismo” tanto di matrice francese quanto americana, nella versione liberale e radicale, e nel contempo assume la tutela della libertà religiosa come diritto delle singole persone e non un “diritto dello Stato”: cuius regio eius religio. Il nucleo teorico del giurisdizionalismo liberale consiste nel riconoscimento della libertà di coscienza e di culto per tutti, all’interno di un regime giuridico diversificato tra le diverse Chiese «in ragione della loro diversa posizione storica, sociale e politica». Ecco, dunque, come Ruffini definisce il “giurisdizionalismo liberale”: «quel sistema di relazioni fra lo Stato e le Chiese, secondo il quale il primo considera le seconde (anche gli istituti in esse compresi) quali istituzioni o corporazioni, quali enti, per dirla in una parola di diritto pubblico»; quindi, in forza della loro natura, delle loro funzioni e del ruolo che hanno svolto nella storia, enti di interesse generale per la collettività.
Distinto dal giurisdizionalismo liberale è invece il “separatismo”, definito sempre da Ruffini come «quel sistema di relazioni tra Stato e Chiesa secondo cui quest’ultima sia dal primo considerata come semplice associazione di diritto privato». Nella linea disegnata dal paradigma della libertà religiosa il limite del separatismo laico risiede nella sua astrattezza e incapacità di cogliere l’anima concreta delle istituzioni giuridiche che, qualora fossero imposte, a prescindere dal loro radicamento storico nella vita concreta delle persone, finirebbero per essere percepite come estranee e verrebbero rifiutate, provocando la reazione che, nella fattispecie della vertenza Stato-Chiesa, ridarebbe vigore a soluzioni teocratiche e cesaropapiste. Il giurisdizionalismo liberale, al contrario, ha il merito di essere coerente con l’elemento più profondo della cultura delle persone e di promuovere soluzioni istituzionali ad esse coerenti e ispirate alla libertà.
Il tema della libertà religiosa diventerà centrale anche nella riflessione della Chiesa cattolica durante il Concilio Vaticano II, al punto che ad essa sarà dedicata una formale Declaratio, la Dignitatis humanae (1965). Principale estensore di quel documento fu il padre gesuita John Courtnay Murray, il quale subì l’influenza di Sturzo durante il suo soggiorno statunitense che andò dal 1940 al 1946, e in particolare della lettura dell’opera Chiesa e Stato, già disponibile in inglese nel 1939 e nella quale abbiamo rilevato il profondo apprezzamento di Sturzo per il giurisdizionalismo liberale di Ruffini.
La libertà religiosa è la prima e fondamentale delle libertà, interessando direttamente il primato della coscienza, custodita nel profondo del cuore di ciascuna persona; qualora essa dovesse venire meno, tutte le altre, presto o tardi, verrebbero a mancare. La ricorrenza dei quarant’anni degli Accordi di Villa Madama può essere l’occasione per riflettere sulle ragioni storiche, politiche, giuridiche, filosofiche e teologiche che condussero persone così distanti nella fede e nell’orientamento politico a ritrovarsi nel nome della libertà di coscienza e rendere così ragione dell’art. 7 della Costituzione che delinea il profilo poliarchico della Repubblica italiana: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».
