Flavio Felice
“Il Pensiero Storico”, 8 aprile 2025
Nell’attuale dibattito in corso negli Stati Uniti sull’idea di società e sul modo in cui i sistemi economici e politici la condizionano, è in corso un profondo ripensamento dell’ideale di capitalismo democratico che ha interessato, in primis, l’opera del teologo e politologo statunitense Michael Novak.
Novak è stato un teorico del cosiddetto capitalismo democratico e ha indubbiamente contribuito a caratterizzare un periodo storico, le cui coordinate principali, dal punto di vista dello spettro delle culture politiche ed economiche, possono essere sintetizzate negli assi della libertà e della creatività. Entrambe le coordinate fanno appello alla cosiddetta “soggettività creativa” della persona umana, un tema che Novak ha mutuato, almeno in parte, dal Magistero sociale di Giovanni Paolo, il quale fa un esplicito riferimento a tale categoria nell’enciclica sociale del 1987, Sollicitudo rei socialis, con la quale il pontefice ha inteso celebrare e aggiornare l’enciclica del suo predecessore Paolo VI: Populorum progressio (1967).
Il dibattito provocato dalle riflessioni di Novak ha diviso non poco il mondo cattolico americano, oltre che quello italiano, e le critiche più severe sono venute dagli ambienti della sinistra cattolica, che hanno accusato il teologo e politologo statunitense di operare una sorta di apologia del modello americano, di stampo liberale e democratico, ricorrendo ad argomenti di tipo religioso. Una sorta di benedizione del modello politico liberale e capitalistico, mentre era forte nel mondo nordamericano ed europeo, il dibattito sulla teologia della liberazione che invece malediceva quel modello e tentava una conciliazione delle categorie del materialismo storico marxiano con la fede cattolica.
In fondo, possiamo dire che la critica a Novak ricordava, abbastanza fedelmente, la critica rivolta al gesuita e futuro padre conciliare John Courtney Murray, il principale estensore della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa: Dignitatis humanae. Anche lui, reo di aver individuato un nesso teorico tra la prospettiva cattolica e l’ideale americano presente nella Dichiarazione d’indipendenza. Padre Murray nel 1960 aveva pubblicato l’opera We hold these Truths. Catholic Reflections on the American Proposition.
A distanza di anni, tranne l’ovvio e personale interesse dello storico delle idee, poco di quel dibattito che vide coinvolti autorevoli intellettuali del cattolicesimo americano sembra coinvolgere l’attuale discorso pubblico e alla critica proveniente dalla sinistra, sembra si sia aggiunta, e in parte sostituita, una da destra.
Le due critiche, per quanto provenienti da soggetti differenti e posizionati su fronti opposti, finiscono per condividere una certa sfiducia nei confronti del modello liberal-democratico. Per i primi, il liberalismo non sarebbe in grado di rispondere al principio dell’universale destinazione dei beni, in quanto sarebbe animato da un self-interest che sfocerebbe necessariamente nel più classico egoismo sociale, e per i secondi non avrebbe sufficientemente a cuore la salute e la promozione della comunità, lì dove si forma la personalità e si esprime la libertà.
Con particolare riguardo alla seconda critica, visto che sulla prima, negli anni, si è scritto abbondantemente, l’elemento teorico problematico sarebbe il riferimento di Novak alla nozione di “distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter. Il profitto è il risultato di una perenne distruzione creatrice degli assetti economici consolidati, della routine economica, e tale continua instabilità economica avrebbe bisogno di una società altrettanto instabile e fluida, incompatibile con i valori della comunità tradizionale.
A proposito di tale nozione, indicata come la cifra del dinamismo tipico del sistema capitalistico, andrebbe ricordato come Novak non riconoscesse una sola forma di capitalismo. Il capitalismo di cui ci parla Novak è il “capitalismo democratico”, un sistema tripartito, le cui sfere rilevanti sono la dimensione economica, politica e culturale. Per questa ragione, per Novak, non esiste il capitalismo; semmai, sulla scorta di Wilhelm Röpke, esisterebbero tante forme di capitalismo e il capitalismo democratico da lui descritto è solo una delle tante fattispecie di capitalismo, che si differenza dalle altre forme per ragioni qualitative.
Inoltre, Novak fa propria la critica di Schumpeter al capitalismo, affermando che il sistema capitalistico è in grado di produrre ricchezza, ma la ricchezza, generata soprattutto dall’abnegazione e dalla creatività, tende a spegnere il fuoco dell’invenzione, infiacchendo lo spirito di sacrificio. Il capitalismo che sgorga dalla creatività, finisce per diventare una fonte di rendita e di trasformarsi nel più classico dei sistemi feudali. È questa la parabola che intravede Schumpeter, dal capitalismo al socialismo, e che consente a Novak di mettere in evidenza la dimensione culturale e valoriale del suo capitalismo democratico.
Ciò che caratterizza la fattispecie del capitalismo democratico, oltre a un sistema di libero mercato e una rete istituzionale democratica, ispirata al rule of law, è un pluralismo culturale nel quale assume fondamentale importanza la cura per la comunità nella quale si vive e nella quale ci si riconosce, in forza di alcuni valori morali, religiosi e identitari.
Nella prospettiva del capitalismo democratico di Novak, questo aspetto assume un ruolo fondamentale, non a caso, è lo stesso Novak che rinvia all’opera di un autore come Alexis de Tocqueville, per il quale, la salute della democrazia, che per Novak è parte integrante dell’ideale del capitalismo democratico, dipende dalla sua prima scienza: l’arte dell’associazionismo. In breve la salute della democrazia dipende dalla capacità che le comunità dimostrano di saper dar vita a una rete di “mondi vitali”, nei quali sia possibile nutrire il valore della libertà.
Il mercato stesso, amava ripetere Novak, citando l’economista tedesco Röpke, è un costrutto culturale e non è dato in natura in maniera nuda e cruda, non esiste il mercato in astratto, ma solo concreti mercati fatti da persone in carne e ossa. La qualità umana e morale dei mercati dipenderà dai valori, dalle credenze e dai costumi adottati dalle persone che lo abitano e che, con le loro scelte e le loro operazioni finanziarie, imprenditoriali e di consumo, lo pongono in essere.
La “distruzione creatrice” alla quale fa riferimento Novak, citando Schumpeter, in primo luogo, incontra la nozione di qualità inclusiva delle istituzioni, sviluppata dei recenti premi Nobel per l’economia Daron Acemoglu e James Robinson, quindi rinvia al mantenimento di una società aperta, le cui cariche siano contendibili e, in secondo luogo, rappresenta un invito a ripensare la comunità alla luce della teoria tocquevilliana dell’arte dell’associazionismo o anche della prospettiva di Edmund Burke, il quale vede nell’amore e nell’attaccamento al gruppo a cui apparteniamo nella società: i “piccoli plotoni”, il primo principio: il germe, di ogni interesse per la cosa pubblica. Burke giunge ad affermare che l’amore per la comunità è il primo anello della catena che ci porta ad amare il nostro paese e l’umanità.
Il mercato che opera nell’ideale del capitalismo democratico di Novak non può non tenere conto di questa essenziale caratteristica del vivere civile e favorire l’emergere di una cultura che apprezza la funzione svolta dalle piccole comunità di vicinato, a partire dalla famiglia. In assenza di una tale cultura comunitaria, primo anello di un universalismo del concreto, tutt’altro che astratto, neppure il mercato sopravviverebbe e, con esso, il rule of law e le stesse istituzioni democratiche.
