Flavio Felice
“Avvenire”, 7 gennaio 2025
A partire dalla nota distinzione di Niccolò Machiavelli, presente all’inizio del primo capitolo de Il Principe: «Tutti gli Stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati», Angelo Panebianco imbastisce un ricchissimo sistema teorico i cui protagonisti sono le forme di governo. Un sistema teorico al cuore del quale troviamo l’approccio, definito dallo stesso Autore microfondazione; una versione estremamente interessante dell’individualismo metodologico.
Il rifiuto di considerare le persone come “pupazzi culturali”, dominati dalle strutture, “resi docili e obbedienti dai processi di socializzazione”. Al contrario, Panebianco rilegge le vicende storico-politiche a partire dall’approccio di Friedrich von Hayek che distingue tra cosmos e taxis. Il primo caratterizzato dal nomos ed il secondo dalla thesis; sintetizzando, Hayek distingue una nomocracy da una teleocracy. Una simile contrapposizione pone da un lato un ordine spontaneo, che non ha un proprio fine, e consente per questo il perseguimento di più finalità, e un ordine organizzato e imposto in vista di un ben preciso fine. Il primo tipo di ordine, detto anche catallaxy, si fonda su norme giuridiche generali e astratte, ossia sulla ratio, mentre il secondo poggia su norme organizzative dipendenti e subordinate alla voluntas di chi governa e decide i fini. L’idea di fondo che muove l’Autore «è che mettere in gioco credenze, motivi e scopi che ispirano le azioni degli individui coinvolti, nonché le loro interazioni, sia una condizione necessaria […] per giungere a spiegazioni plausibili dei macroeventi».
L’individualismo metodologico di Panebianco fa i conti con l’emergere delle differenti forme di governo e accoglie la distinzione tra principati e repubbliche, dove per i primi l’Autore intende le politiies, le organizzazioni politico-territoriali gerarchicamente strutturate (“esclusive”), mentre, per le seconde, le polities in cui il potere è distribuito orizzontalmente fra una pluralità di gruppi (“corporate”), denominate anche eterarchie: entità multiple, Sturzo direbbe plurarchiche, nelle quali la pluralità delle sfere sociali delinea rapporti orizzontali non gerarchicamente ordinati. Ebbene, nella consapevolezza di maneggiare idealtipi, Panebianco sostiene che, mentre la componente gerarchica-esclusiva è prevalente nei principati, quella eterarchica-corporata risulta prevalente nelle repubbliche.
L’ampio volume si articola in quattro parti più un’appendice dedicata ai processi di federazione. Nella prima parte, di carattere epistemologico, Panebianco presenta il metodo della microfondazione; estremamente interessante risulta anche la ricostruzione storica delle forme di governo dall’antichità fino ai nostri giorni. Nella seconda parte, l’Autore affronta i cosiddetti “Primi passi”, analizzando le società senza Stato, il frutto di aggregazioni fra una pluralità di azioni individuali che contribuiscono alla nascita, al funzionamento e al declino delle polities. Nella terza parte, dedicata agli “Imperi”, suddivisa per imperi antichi, medioevali e moderni, Panebianco definisce questa particolare forma di regime politico come il sistema nel quale c’è un centro imperiale che controlla una periferia composta da una pluralità di gruppi etnici diversi fra loro e diversi dall’etnia dominante. La quarta parte è dedicata alla “Repubblica”, e vengono messe in evidenza l’esperienza comunale preumanistica italiana, le repubbliche imperiali e si delinea uno stile repubblicano: la coesistenza di una miriade di centri potere, dove il problema del buongoverno si risolve nella governance degli innumerevoli buoni governi presenti nella polity.
L’importante opera di Panebianco ci consente di analizzare i fenomeni politici a partire da un metodo: la microfondazione, e di porre sotto la lente del metodo critico la qualità delle nostre istituzioni. In breve, ci consegna un prezioso strumento attraverso il quale misurare quanto la nostra democrazia sia davvero un processo inclusivo e non estrattivo, nel quale la qualità della rappresentanza politica determina anche il grado di partecipazione alla polity, senza cadere per questo nel “partecipazionismo” denunciato da Giovanni Sartori, inconciliabile con il modello della democrazia rappresentativa-elettorale, l’unica che garantisce la conquista, il mantenimento e il trasferimento del potere in maniera pacifica.
Angelo Panebianco, Principati e repubbliche. Azioni individuali e forme di governo, il Mulino, pp. 759, € 48
