Filippone-Thaulero. La poesia come strada di carità

Flavio Felice

“Avvenire”, 26 ottobre 2023

Flavio Felice

Vincenzo Filippone-Thaulero (1930-1972) è stato un eminente intellettuale, la sua opera ha spaziato dalla filosofia alla sociologia, dalla teologia alla mistica, lasciandoci una varietà di studi che coprono una enorme vastità di campi.

Con il quarto volume della sua opera omnia: Non è perduto il segno. Scritti letterari, una selezione di scritti inediti conservati nell’archivio di famiglia, curata da Vincenzo Di Marco, si apre “un nuovo capitolo” nella scoperta di un significativo interprete della filosofia del Novecento.

Secondo l’opinione del curatore dell’intero progetto editoriale, Filippone-Thaulero è stato letto e interpretato soprattutto a partire dai suoi lavori filosofici, sociologici e religiosi, mentre i suoi scritti letterari sono rimasti sconosciuti. Per tale ragione, la presente raccolta rappresenta quasi lo svelamento di una nuova vita del filosofo; il filosofo torna a parlarci, a partire da un diverso registro, non più analitico, ma poetico.

Il volume si articola in quattro parti: “Non è perduto il segno”, “Poesie giovanili”, “Testi teatrali”, “Racconti”, introdotti da una presentazione del curatore, l’introduzione di Gennaro Savarese e la prefazione della moglie di Filippone-Thaulero, Carla Sabine Kowohl.

La prima parte dà il titolo all’intero volume: Non è perduto il segno, e le poesie evidenziano un particolare filo conduttore che lega lo “scrivere” e il “vivere”, senza lasciare la persona umana in balia di una incombente necessità, privandola della libertà e della relativa responsabilità che qualificano la scelta. Proprio “La scelta” è il titolo della poesia nella quale è conservato il verso che dà il titolo all’intero volume: «Non è perduto il segno, se la notte/ scende così profonda, se il silenzio/ scava così sensibilmente in volte/ di sempiterno azzurro sciolto e immenso». La scelta è un cammino, un lento perdersi nei sentieri dell’anima, in uno spazio remoto e senza tempo, una dimensione nella quale è facile smarrire il senso, la direzione, e ritrovarsi preda dell’angoscia. Ed ecco che nel punto più recondito di uno spazio che non appare più avulso dal tempo, nel silenzio della disperazione vissuta nella consapevolezza della limitatezza del proprio essere creatura, si odono fruscii che, in ossequio al principio di libertà, pur non indicando strade certe, predispongono all’ascolto, invitano alla ricerca di un sentiero, a riprendere dunque il cammino, a porre nuovamente la domanda su quanto resta della notte, perché “la scelta” «è notte degli addii/ e delle attese quella che trascorri,/ nella scelta compiuta senza affanni».

Un ulteriore aspetto che emerge dai versi di Filippone-Thaulero e che vorremmo qui sottolineare è la potenziale dimensione trascendente della vita civile – potenziale perché dipende dalla “scelta”, la cui fertilità di opere non appare come un dato necessario, bensì una possibilità che germoglia quando il dato immanente del vivere quotidiano si sposa con la fede in un Fondamento altro che ci invita a guardare oltre “il volo di zanzare” che popolano la palude. In una poesia del 1957, intitolata “Spesse notturne lamiere”, il filosofo scrive: «Ricordo di quando io feci senza trovare ascolto alcuno,/ quante parole io ho gettato senza orecchio/ capace di intendermi. O forse si tratta di seme/ che non spiga che dopo stagioni e stagioni». Il tempo e le stagioni evocati non sono l’eterno ritorno di un istante, un tempo ridotto a segmento spaziale che può essere solo occupato dalla routine del quotidiano, ma il tempo come attimo presente che ci è dato, l’unico, per sollevarci dalla miseria della palude e rivolgerci con lo sguardo ad un Altro che ci rivela la persona come imago Dei: «Per quelle è necessario pregare,/ perché tutto finalmente non sia inganno,/ ma che abbia il senso che ci è rivelato,/ dalla processione di statue sul sagrato,/ dalla Messa, e dall’Eucaristia vigilante/ e i Sacramenti, e la Fede».

È il modo poetico con il quale Filippone-Thaulero ha espresso un concetto politico tipicamente sturziano, che possiamo sintetizzare con l’espressione “matrice teologica della società” che ha nel sacramento eucaristico, in quanto sacramento della carità, il fondamento stesso della comunità politica. Il riconoscimento che “lo spezzare il pane” comporta l’impegno per la giustizia e la vocazione della persona ad essere compartecipe del memoriale di salvezza, desacralizzando il potere, mortificandolo, sezionandolo e rendendolo così fruibile dall’uomo all’umana contingenza: è la politica in quanto “via istituzionale della carità”.

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