Domande a Corrado Augias sul problema delle scuole paritarie

di Dario Antiseri

«I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli». Questo è quanto stabilito nell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Viene da chiedersi: il monopolio statale nella gestione della scuola non è forse una decisa negazione di un preciso diritto umano universale?

Dalla Risoluzione sulla libertà d’insegnamento (1984) del Parlamento europeo: «Il diritto alla libertà d’insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti dei gestori, dei genitori, degli alunni e del personale». Domanda inevitabile: per quale ragione tutti gli Stati europei (ad eccezione dell’Italia e della Grecia) sostengono finanziariamente in tutto o in gran parte le scuole paritarie mentre in Italia una politica cieca ed irresponsabile ha deciso per loro una lenta e progressiva agonia?

«E’ tempo di chiudere questo conflitto del Novecento: scuole statali contro private. Non esiste, non è più tra noi, ci ha fatto perdere tempo e risorse». E ancora: «Basta guardarsi in giro e si scopre che l’insegnamento è pubblico, fortemente pubblico, ma può essere somministrato da scuole pubbliche, private, religiose, aconfessionali in una sana gara a chi insegna meglio». È questa la coraggiosa e lungimirante dichiarazione dell’allora Ministro Luigi Berlinguer al quale è legata la Legge 62/2000, in cui si definisce il passaggio dalla “Scuola di Stato” a “Sistema nazionale d’istruzione” costituito dalla “Scuola pubblica statale” e dalla “Scuola pubblica paritaria”. E bene, in simile orizzonte che senso può avere lo slogan “Prima la scuola pubblica”? e perché mai seguitare a brancolare nell’ergastolo del pregiudizio stando al quale è pubblico solo ciò che è statale? Anche i panifici svolgono un primario servizio pubblico e, per nostra fortuna, non sono statali.

«Dalla concorrenza di scuole private libere, le scuole pubbliche […] hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere». E ciò per la ragione – scriveva Gaetano Salvemini – che la scuola privata «rappresenterà sempre un pungiglione ai fianchi della scuola pubblica. Obbligandola a perfezionarsi senza tregua, se non vuole essere vinta e sopraffatta». «Lo Stato – è ancora Salvemini a parlare – ha il dovere di educare bene i miei figli, se io voglio servirmi delle sue scuole. Non ha il diritto di impormi le sue scuole, anche se i miei figli vi saranno educati male». E con Salvemini è d’accordo Luigi Einaudi allorché afferma che il danno recato dal monopolio statale dell’istruzione «non è dissimile dal danno recato da ogni altra specie di monopolio». E non è da oggi che, non contro la scuola pubblica, ma contro le nefaste conseguenze del monopolio statale dell’istruzione si sono schierati in contesti differenti figure come Alexis de Tocqueville, Antonio Rosmini, John Stuart Mill e, dopo di loro e tra altri ancora, Bertrand Russell, Antonio Gramsci, Karl Popper, don Luigi Sturzo, don Lorenzo Milani e, con la loro proposta del buono-scuola due premi Nobel come Milton Friedman e Friedrich August von Hayek.

Si tratta di riflessioni e domande queste mie, che mi permetto di porgere all’attenzione di Corrado Augias, dopo la lettura del suo articolo “Prima la scuola pubblica” (apparso su “la Repubblica” di mercoledì 20 maggio). Augias – richiamandosi all’articolo 33 della Costituzione in cui si afferma che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» – sostiene correttamente che «nei fatti la norma “senza oneri per lo Stato” non ha quasi mai trovato completa attuazione. In un modo o in un altro vari governi sono intervenuti ad esempio per aiutare scuole paritarie in difficoltà o per finanziare la creazione di istituti privati dove mancava una scuola pubblica». Certo, soggiunge Augias, «Una valutazione equilibrata deve riconoscere che nella pioggia di aiuti del “decretone” a partite Iva, avvocati, artigiani e varie altre categorie, possono rientrare anche le scuole paritarie». Ed ecco la tesi conclusiva e di fondo di Augias: «Gli istituti paritari, se organizzati seriamente, possono svolgere un’azione benemerita, ma l’aiuto dello Stato non può che avere carattere temporaneo». Siamo qui di fronte allo stravolgimento di quel presidio della società aperta costituito dal grande principio di sussidiarietà: per Augias lo Stato dovrebbe dare paternalisticamente un po’ di ossigeno a quei corpi intermedi disposti ad intervenire dove lo Stato non riesce; ma la soluzione è ben altra: viviamo in una società aperta là dove lo Stato non si arroga il diritto di fare quello che i cittadini sanno fare da soli o tramite le loro libere associazioni. John Stuart Mill: «I mali cominciano quando invece di fare appello alle energie e alle iniziative di individui e associazioni, il governo si sostituisce ad essi». Cancellati i corpi intermedi cosa resta? Resta solo lo Stato, lo Stato onnivoro e onnipotente. Un amante e difensione della libertà come Corrado Augias potrà mai avallare una simile deriva? E, infine, è proprio così scontato che l’art. 33 della Costituzione non permette nessuna altra interpretazione che quella più rigorosa con confini in ogni caso invalicabili? Istituire scuole «senza oneri per lo Stato» implica necessariamente non sovvenzionare queste istituzioni se poi si scopre che esse svolgono un prezioso e necessario servizio pubblico?

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Giuseppe Richiedei ha detto:

    Condivido pienamente l’impostazione culturale del Prof. Antiseri e mi chiedo perché clero e cattolici e laici invece di attenersi a questa impostazione inattaccabile si perdono in vicoli ciechi per giustificare aiuti facoltativi da parte della benevolenza statalistica.

    "Mi piace"

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